Cosa provereste se, comprando una scatola di biscotti, dopo aver visto un accattivante spot tv e dopo aver letto attentamente l’elenco degli ingredienti, scopriste che non solo la pubblicità era ingannevole, ma che la casa produttrice vi aveva mentito su quantità e qualità degli ingredienti stessi?

Questo è ciò che ci è accaduto leggendo la trilogia delle 50 sfumature scritta da E L (sic: senza puntino!) James (pseudonimo della cinquantaduenne inglese Erika Leonard) e vedendo in questi giorni il film tratto dal primo romanzo della serie a opera della regista Sam Taylor-Wood.

Beninteso, questa esperienza cine-letteraria non era precisamente nella nostra immediata top thousand, ma la deformazione professionale ha avuto alla fine la meglio (mai criticare senza aver letto e/o visto!) e ci siamo messi alacremente al lavoro: quasi 2.000 pagine della trilogia e oltre 2 ore di film. Credeteci: ne siamo usciti stremati; ma, prima di continuare, dobbiamo ai nostri lettori alcune avvertenze.

Non ci occuperemo delle strategie di marketing per cui i titoli in inglese siano stati tradotti in maniera così “colorita” in Italia e neppure della recentissima notiziona che conferma l’uscita nel 2016 della seconda puntata cinematografica, in attesa dell’inevitabile terza e ultima (nel 2017?).

Non ci soffermeremo sull’appassionante diatriba su quale debito abbia la signora James nei confronti della saga di Twilight (della quale peraltro la serie delle 50 sfumature è una costola, essendo nata come sua fan fiction).

Non discetteremo affatto sulla correttezza delle pratiche BDSM dei nostri eroi (su cui peraltro non abbiamo onestamente la benché minima competenza) e sull’intrigante interrogativo se Mr. Grey sia un Dominatore o un volgare stalker.

Non ci uniremo infine neppure al coro dei detrattori – pregiudiziali e non – di tali prodotti dell’industria letteraria e cinematografica, ironizzando magari pesantemente sulle desperate housewives che hanno costituito il nocciolo duro delle lettrici, assetate di brividi erotici e trasgressioni priapesche a buon mercato.

Cercheremo piuttosto di dimostrare come il più grande scandalo di questa teratologia (no, avete letto bene, non è un errore di battitura) sia rappresentato, paradossalmente, dalla quasi completa assenza di ingredienti scandalosi.

Intendiamoci: suggerire la James come lettura serale a delle monache di clausura o proiettare il film nel refettorio di una scuola dell’infanzia non sarebbe davvero indicato. Ma una persona adulta, con un normale sviluppo psicosessuale e una normale vita di relazione si trova di fronte alla sequenza più banalmente prevedibile di luoghi comuni letterari che si possa immaginare, un concentrato di finte trasgressioni e di stupefacenti scoperte dell’acqua calda che la storia della cultura di massa ricordi.

Partiamo dalle celeberrima distinzione di Umberto Eco, elaborata tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, tra romanzo problematico (la cui lettura mette in discussione le gerarchie di valori non solo della società in cui vivi, ma anche quelli tuoi personali) e romanzo consolatorio (che invece ha come unico scopo quello di confermarti nelle tue convinzioni, offrendoti qualche ora di assoluto svago): ebbene la nostra autrice confeziona una serie totalmente consolatoria, addirittura settecentesca, pur sotto la furbesca superficie di una trasgressione per sciampiste: e mi scuso con le sciampiste che sicuramente sanno far di meglio della signora James.

Basta sfogliare qualche pagina di Pamela di Richardson (anno di grazia 1740!) – con i turbamenti dell’ingenua servetta di fronte alle lascive profferte di Mr. B. – o, più semplicemente, qualche romanzo “Harmony” per trovare gli archetipi della nostra saga: belli e impossibili primari ospedalieri, atletici piloti di caccia o elegantissimi capitani d’industria che fanno sospirare procaci infermiere, fidanzate relegate a terra o mature segretarie sognanti di fronte agli appunti stenografati.

Non a caso Ana Steele giunge assolutamente vergine all’incontro con Mr. Grey: il fatto che prima vadano ripetutamente a letto e poi si sposino è solo l’inevitabile tributo ai tempi; ma in ogni caso gli rimarrà doverosamente fedele e sottomessa (senza maiuscola!) fino alla fine, sfornandogli anche due pargoli, un maschietto e una femminuccia.

Mr. Grey, dal canto suo, assalta sì la pudibonda fortezza di Ana, proponendole una ricca lista di pratiche sado-maso nella prima parte del primo romanzo; ma, guarda caso, gran parte di esse vengono in seguito saggiamente dimenticate perché il perfido stalker infatti s’innamora come un ragazzino e quindi lascia perdere le sue fantasie da sociopatico.

Non basta: lui, da bravo padrone delle ferriere (non si capisce cosa faccia nel dettaglio per guadagnarsi 100.000 dollari al giorno se non nelle ultimissime pagine del terzo romanzo!), ha una posizione socio-economica infinitamente superiore a quella di Ana che, dopo aver vibratamente elevato formali proteste in nome del suo acclarato disinteresse per il vile denaro, accetta continuamente e senza battere ciglio regali costosissimi come un BlackBerry, un Mac, un paio d’auto, una casa da ristrutturare a suo piacimento (e tralasciamo vestiti e intimo).

Infine il nostro seduttore vietato ai minori presenta la fidanzata alla famiglia come si usava in epoca vittoriana (ma vuoi mettere il brivido, per lei, di non indossare le mutandine al ricevimento in suo onore?); manifesta una integerrima (e noiosissima) fedeltà pre e postconiugale nonché una mediterranea gelosia per chiunque si avvicini alla sua “piccola”; e dopo un iniziale sbandamento (che serve esclusivamente ad arricchire di un centinaio di pagine l’intreccio) fa radiosi progetti di metter su una nidiata di figli (al momento solo due).

Potremmo continuare: ma crediamo di aver dimostrato ad abundantiam l’assoluta mancanza di originalità di intreccio e personaggi. Altro che oscure pratiche BDSM nella “sala dei giochi”!

Ma avrebbe potuto la nostra James, nel terzo millennio, proporre una consolatoria e vecchissima storia d’amore a una folla di sentimentalissime lettrici che vogliono il rosa senza però dichiarare di volerlo leggere?

Sì – la trovata ha avuto peraltro in Italia un’anteprima nel 2003 con 100 colpi di spazzola prime di andare a dormire dell’ineffabile Melissa P. – a patto di far passare per trasgressione (l’odierno, asfissiante mantra conformistico della nostra era che ha fatto infelicemente seguito al movimento di liberazione sessuale dei Sixties) ciò che è solo eterno ritorno dell’identico (letterario). Se ci aggiungiamo poi alcuni tic culturali tipicamente anglosassoni l’effetto comico, in grado di seppellire con una risata la più complicata messa in scena BDSM, è assicurato.

Alle lettrici italiane, che col latte materno hanno metabolizzato fin da piccole l’orrore per i peli superflui in qualsiasi parte del corpo, puoi far credere sul serio che una depilazione delle ascelle e delle gambe possa equivalere al battesimo del fuoco di una ventiduenne universitaria che vive da anni lontana dai suoi genitori assieme a un’amica? E puoi insinuare la torbida idea – davvero trasgressiva per i rudi apparati piliferi anglosassoni – di una depilazione un po’ più intima come paradiso carnale e nascosto per grigissimi stalker?

Ai nostri smaliziatissimi conterranei poi, che hanno una consolidata tradizione di dongiovannismo – rivierasco e non – e di tifo domenicale allo stadio, puoi far impunemente digerire l’ossessione giuridicamente e politicamente corretta del contratto BDSM, con l’elenco puntiglioso delle pratiche sessuali di là da venire e naturalmente costellato di codicilli avvocateschi per precisarne i contorni? E, soprattutto, si può ricorrere all’espediente esilarantissimo dei cartellini (pardon! safewords) gialli e rossi per ammonire o espellere il Dominatore dalla tua intimità?

E ai compatrioti di D’Annunzio, che già oltre un secolo fa nel Piacere faceva cadere in deliquio, con ben altro stile, lettori e lettrici dell’epoca con lo scambio di un sorso di tè dalla bocca di Andrea Sperelli a quella di Elena Muti, puoi far credere che tale profonda condivisione sia assolutamente il must da provare alla prossima bicchierata tra amici? Per non parlare – e qui facciamo riferimento soprattutto al film – della scena col tour del ghiacciolo sul corpo di lei che è una spudorata una citazione del ben altrimenti erotico 9 settimane e mezzo.

Vogliamo infierire?

Che dire dell’unico vero feticismo della saga, quello per brand e griffe alla moda (e noi Italia avevamo già dato con le due versioni di Tre metri sopra il cielo di Moccia)?

E come giudicare l’ossessione tipicamente inglese per la Costa Azzurra come luogo ideale per una romantica luna di miele?

Dobbiamo davvero, noi che abbiamo – tra le altre – Cortina e Courmayeur, guaire di piacere per la fighissima Aspen in Colorado, oggetto di desiderio per i più orridi e danarosi tamarri del Nordamerica?

Possiamo sul serio condividere la bizzarra idolatria salutistico-profilattica di mr. Grey che, a mo’ di mago Silvan, tira fuori dalle sue tasche preservativi come conigli nei momenti e nelle pose più impensabili?

E dobbiamo credere che questo testosteronico virtuoso del condom impollini la sua tenerissima Ana che, come un’adolescente in crisi ormonale e con gravi deficit cognitivi in maniera di prevenzione delle gravidanze, si dimentica di frequentare regolarmente la ginecologa?

E poi, lo stile formulare degno del peggior epigono di Omero!

I jeans e i pantaloni del pigiama del man in grey che scendono immancabilmente a perfezione sui suoi fianchi scolpiti; Ana che, dilaniata dal dialogo interiore fra la “vocina” prudente e la “dea” ninfomane, squittisce come un metronomo i suoi “wow” non richiesti; il ciuffo di lui che è adorabile solo se è postcoito; il labbro inferiore di lei che, dopo essere stato morso un’infinità di volte, ci si stupisce che non sia del tutto piagato; gli occhi levati al cielo di lei che fanno prudere le mani di lui; e, suprema chicca tra le chicche, i fantastici e ripetuti orgasmi in cui lei non può fare a meno di “esplodere” mentre lui “grugnisce” il suo ineffabile piacere, pronto a rimettersi sugli attenti come un disciplinato soldatino (ma il periodo refrattario vale solamente per l’uomo della strada?).

Concludendo, dunque, perché uno dovrebbe abbandonarsi al discutibile piacere di una simile lettura e/o visione cinematografica?

La storia è vecchia, per non dire stantia, lo stile sciatto, la ripetitività imbarazzante e, peccato capitale, si contrabbanda per trasgressione quello che è il più vieto conformismo.

Sarà solo un caso che l’unico spunto veramente urticante – la storia dell’adolescente disturbato Grey con la sua ben più vecchia Dominatrice Elena Lincoln, amica della madre – rimanga sempre saggiamente sullo sfondo a non turbare le fantasie BDSM (in dosi omeopatiche) di lettori e lettrici?

E ci si può mettere una vita a dimenticare le sculacciate dei genitori e l’odore della pasta Fissan per ritrovarsi a sognarle perdutamente nell’età del climaterio?

Voto: -1 (di incoraggiamento a non proseguire su questa strada, ma non ci speriamo)