In genere, si sente parlare di Europa o come un sogno da perseguire o come un'unione politica ed economica imposta, se non addirittura inutile. Fatto sta che l'UE è una realtà consolidata da decenni e la crime fiction, da alcuni indicata come la letteratura contemporanea di indagine sociale, non può ignorarlo. 

Da questo punto di vista, la storia criminale raccontata da Antonio Pagliaro nel suo ultimo romanzo, si configura non come l'ennesimo intrigo internazionale che ha lo scopo di far evadere il lettore dai confini della propria quotidianità nazionale, ma come una narrazione ambientata in uno Stato federale che ancora non c'è ma che ha già i propri confini, la propria moneta e le proprie leggi. Quanto basta a un'associazione criminale per esistere: un territorio da controllare, soldi da far girare e leggi da infrangere. Una mafia di respiro europeo, che se ne frega se ad indagare è John Paul van den Bovenkamp, ispettore della polizia criminale di Utrecht, Nino Cascioferro, tenente dei carabinieri di Palermo o tutta l'Interpol. Fa e disfa in euro-cripto-visione, con tutti i suoi annessi: soldati, massoni e politici.

Dentro Il bacio della bielorussa, romanzo scritto da Pagliaro col consueto stile asciutto e affilato, si percepisce un'apparente spaccatura tra nord e sud Europa, tanto profonda perché la sua evidenza all'opinione pubblica l'ha ormai relegata al dimenticatoio dell'ovvio. Ma a ben vedere non è così. Certo c'è il divario economico e culturale, ma nei personaggi si evince un'affinità antropologica che non ha niente a che fare con radici cristiane vere o presunte: è l'arroganza del potere di cui scrisse Leonardo Sciascia, che si credeva propria dell'Italia degli anni della Balena Bianca e che invece funziona benissimo anche oggi e in tutto il vecchio continente. Quella stessa arroganza cui nessuna parte del mondo è immune.