Sandrone Dazieri è un nome che nel mondo editoriale non ha bisogno di presentazioni. Scrittore di successo, sceneggiatore, scopritore di talenti, direttore di collane. Si è cimentato in molteplici aspetti della realtà che girà attorno alla scrittura, e in ogni campo ha ottenuto risultati strepitosi. Come autore ha creato la serie dedicata al suo personaggio alter ego Il Gorilla (serie pubblicata e ristampata in continuazione da Mondatori e che ha avuto una trasposizione cinematografica interpretata da Claudio Bisio), come sceneggiatore è capo-sceneggiatore della serie campione di ascolti Squadra Antimafia, che ogni settimana riesce a incollare al piccolo schermo milioni di telespettatori, ha scoperto talenti come Licia Troisi (autrice fantasy da milioni di copie in tutta Europa), come direttore è stato a capo delle collane da edicola della Mondatori (per intenderci le storiche Urania, Giallo Mondatori e Segretissimo).

Si tratta quindi di un autore che conosce l’arte di scrivere, la sottile magia di incollare il lettore alla pagina. Così come riesce a fare nel suo ultimo romanzo Uccidi il padre (Mondatori), che oltre a imporsi come uno dei romanzi dell’anno è già in traduzioni in molti paesi, e proprio in questa sua ultima e imponente fatica (oltre 500 densissime pagine) Dazieri riesce a creare una fitta rete di misteri e false piste, una vicenda oscura che scava all’interno dell’animo umano, e attraverso la storia segreta della nostra società. Ma Uccidi il padre è anche la nascita di due personaggi originali e accattivanti, con un trascorso doloroso, che creano un immediata empatia con il lettore, e che sembrano non voler più abbandonare il nostro immaginario. Il tutto accompagnato da un ritmo frenetico della narrazione, e da continui colpi di scena, che si susseguono in un vortice crudele e brillante che ci precipita verso un finale inatteso e sconcertante.

Di poche settimane fa è, inoltre, la notizia che Uccidi il padre diventerà un film, i diritti cinematografici sono stati infatti acquistati dalla RB Produzioni di Raul Bova, che progetta anche una possibile serie televisiva.

Dopo la lettura di questo romanzo si aprono mille domande. Sul futuro dei personaggi, sulla nascita della storia, sul suo autore, sulle tecniche della narrazione, e proprie queste domande abbiamo posto a Sandrone Dazieri che ha gentilmente accettato di rispondere.

L’Italia è il paese del giallo e del noir, è questi sono anche i generi che ti hanno reso famoso, perché nel tuo ultimo romanzo, Uccidi il padre (Mondadori), hai deciso di cimentarti con il thriller? Inflazione di giallisti?

Da un lato sicuramente inflazione di noiristi, che poi scrivono gialli tutti uguali con il commissario amante della buona cucina regionale. Dall’altro il fatto che questa storia aveva bisogno di essere raccontata in chiave thriller e non in chiave noir. La suspense, infatti, aveva un ruolo preponderante, come la costruzione attraverso il punto di vista di numerosi personaggi, che io vedo più connessa al thriller che al noir. Considero questo il romanzo più complesso che io abbia mai scritto, e se ho potuto scriverlo oggi è perché avevo finalmente acquisito sufficiente esperienza per cavarmela.

Chi sono Dante e Colomba? Perché questi nomi e come costruisci i tuoi personaggi?

Il nome di Colomba viene da una tomba di Firenze, che ho visto dopo un concerto di Leonard Cohen e che mi ha ispirato, quello di Dante perché volevo un nome italiano ma che fosse universale. E Dante lo è per definizione. Colomba è una poliziotta della Mobile di Roma, in congedo per malattia: le è successa una cosa brutta, non ce la fa a tornare in servizio. Dante è un ex bambino rapito pieno di fobie e manie, che si è specializzato nel trovare persone scomparse, per lo più senza muoversi da casa. Da soli non se la sarebbero cavata, insieme sono una coppia formidabile.

Il finale del tuo libro è spiazzante e di grande impatto, apre gli occhi del lettore. Senza voler anticipare troppo, da dove nasce un’idea così forte?

Dalla mia pancia, è da lì che traggo la maggior parte delle mie idee. Al cervello rimane il compito di trasformarle in scrittura, mantenendo però l’impatto emotivo che le ha generate.

Il tuo romanzo ha un intreccio denso e molto strutturato, quali sono le difficoltà di un’opera così complessa?

La difficoltà più grande è non perdere i personaggi per strada, e tenere il ritmo. Questa è stata la mia preoccupazione principale. Volevo un libro corposo, con una storia distesa, un racconto ampio, ma allo stesso tempo che fosse veloce da leggere, che prendesse. Per questo ho dovuto pensare a ogni capitolo come l’anello di una catena che portasse al successivo anello.

La tua è una scrittura cinematografica, che si muove per immagini, come si intrecciano le tue due attività di scrittore e sceneggiatore? Si influenzano l’un l’altra?

Senz’altro le due attività si influenzano. Scrivere sceneggiature mi ha insegnato a visualizzare le scene, a far capire sempre dove ci si trova, e a togliere il superfluo. Di converso, come romanziere riesco a scrivere facilmente i dialoghi che la sceneggiatura mi richiede e a vedere i personaggi in profondità.

Esistono veramente i generi letterari o ci sono solo storie da raccontare?

Esistono. Io li difendo, i generi. Perché hanno delle regole. Che puoi violare, ma per violarle devi conoscerle.

Quando, come e dove scrivi?

Scrivo al computer, sempre, domenica compresa, a parte quando faccio qualche riunione editoriale o di sceneggiatura. Salto da un lavoro all’altro, dal romanzo a una serie tv, salvo nelle strette finali. Nella casa di Milano ho una scrivania, ma preferisco il tavolo della cucina quando non c’è nessuno, mentre nella casa delle Marche, che poi è quella vera, lavoro di solito nel guardaroba dove c’è un piccolo divano letto. Prima poi mi farò uno studio.

Considerando che travalichi generi e mezzi espressivi, cosa ci aspetta per il futuro?

Due serie tv che ho scritto e che non sono Squadra Antimafia, il seguito di Uccidi il Padre, la collaborazione a uno spettacolo teatrale. Ho anche l’idea per un fumetto, ma devo trovare qualcuno cui portarla.

[già pubblicata nel quotidiano “La Città” – 6 dicembre 2014]