Nella Sicilia gattopardesca di Tomasi di Lampedusa le categorie sociali, benché in divenire, erano facilmente riconoscibili: c'erano i nobili, la borghesia che scalpitava, i contadini, i poveracci e gli uomini d'onore, imbecilli violenti capaci di ogni strage. L'isola nell'isola raccontata da Sciascia era ancora abitata da esemplari di questa specie, già compromessi con la politica e l'economia. Altre Sicilie, altri scrittori. In quella di Giacomo Cacciatore – quella che ha già visto i botti in eurovisione dei “mondiali del '92” – questa razza sta per diventare un ologramma instabile: da muratori a stragisti a invisibili finanzieri.

La differenza è un romanzo, una quasi pièce e una quasi sceneggiatura, che racconta un dramma che un altro siculo, Pirandello, aveva già anatomizzato: lo sgretolamento dell'identità. Protagonista è Mario Ombra, un agente della Catturandi che si trova improvvisamente davanti il latitante Cosimo Castrone. Ombra cede alla tentazione di non consegnarlo alla giustizia e, almeno per una volta nella vita, di stringere nel pugno l'oggetto di anni di sfibrante lavoro andato sempre in malora. Lo vuole studiare, saggiare di che pasta è fatto, in qualche maniera sfidarlo, capire, appunto, che differenza c'è tra di loro, soldati su fronti opposti.

Il mondo esterno sparisce – entra solo come deboli lame di luce da una persiana, attraverso la voce gracchiante di una vecchia radio a pile – e gran parte della vicenda si svolge in una camera: due uomini e un dialogo fatto, più che di parole, di corpo a corpo e mente contro mente combattuti a gesti, sguardi e provocazioni. Qualcuno ha descritto questo libro come un romanzo “della stanza chiusa”, storie dove comunque gli enigmi vengono quasi sempre sciolti. Qui, in definitiva, non accade: come in The Sunset Limited di Cormac McCarthy va in scena una tragedia dell'identità che non sposta di un millimetro l'inquietudine.