È ancora il cinema come metafora della vita - e anche della morte - a fare da filo conduttore per Tutto quel blu, terzo romanzo di Cristiana Astori, con la giovane protagonista Susanna Marino di nuovo sulle tracce di un’introvabile pellicola, di fatto mai distribuita, della quale pare che esista solo una copia pirata, che era stata a suo tempo riversata in VHS. Inevitabile, a questo punto, che Susanna si ritrovi a incrociare la strada dell’enigmatico Steve Salvatori, l’esperto di cinema già incontrato nelle sue precedenti avventure.

A complicare le cose, ci si mette un bizzarro killer che sta facendo fuori a colpi di pistola alcune persone accomunate dal fatto che hanno lo stesso nome, come se, per chissà quale oscuro motivo, ce l’avesse con qualcuno di cui però non conosce con precisione l’identità. Mentre il commissario Francesca Sanniti cerca di capirci qualcosa, un quindicenne di nome Alex Belli entra nel gioco, con l’incoscienza tipica dei ragazzi della sua età.

Il cinema, dicevo, è il filo conduttore del romanzo. Il cinema, con i suoi echi e le citazioni tratte dai film di culto, è anche al tempo stesso marca di un’assenza simboleggiata dalle pellicole fuori circuito, un’assenza che è piuttosto una presenza che si sottrae, un fuori scena che somiglia al pezzo mancante di un puzzle, un enigma da risolvere, un buco di senso che risulta meno angosciante perché si suppone che una risposta ci sia, benché nascosta. Anche se si situa in un altro luogo, in un altrove quasi mitico, si tratta solo di trovarla.

Ritroviamo nel romanzo l’atmosfera un po’ onirica cara all’autrice, benché in taluni momenti minacci di dissolversi sotto l’impatto di una visione più dolente e realistica. Dopo aver raggiunto il sospirato traguardo della laurea - con una brillante tesi sul cinema di Dario Argento che viene accolta con snobismo dall’ingessato ambiente accademico - Susanna avverte più di altre volte l’amarezza di una condizione esistenziale che sta infine per traghettarla oltre le soglie della prima giovinezza, senza offrirle il compenso di un lavoro degno di questo nome.

La scrittura però non indugia su queste note di pessimismo. Cristiana Astori tratteggia scene e personaggi con il suo solito stile vivace e brillante, senza rinunciare a descrivere, con pennellate veloci e precise, idiosincrasie, caratteri e situazioni che, nella loro oscillazione tra il normale e l’insolito, a volte virano nel grottesco.

Come al solito Susanna si muove sulla scena in maniera non troppo convinta, stavo quasi per dire goffa. Ciò malgrado, la sua capacità istintiva di catalizzare gli eventi verso la conclusione ne fa una protagonista piena di fascino, il fascino trasmesso da quel tipo particolare di personaggio che sembra destinato a soccombere e invece finisce col prevalere, su tutto e su tutti.

A fare da sfondo a questa vicenda, una Torino immersa nel gelo dell’inverno: algida, seducente e misteriosa come una femme fatale di altri tempi. E poi c’è il blu, un alone azzurrino che sembra pervadere ogni cosa, che si insinua dappertutto come un fantasma dalle dita di ghiaccio. Ma è un blu che il sangue delle vittime dipinge di rosso, come se le dita del fantasma avessero le unghie laccate di porpora. E quando quelle unghie ti artigliano il collo non puoi far altro che urlare, mentre il fiato ti sfugge dai polmoni contratti e si perde nel blu, tutto quel blu.

Cristiana Astori, Tutto quel blu

Il Giallo Mondadori n. 3119, 5 dicembre 2014

pagg. 294, euro 4,90

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