Lavorare a cavallo fra follia e criminalità è da tempo una delle specialità dello psichiatra Corrado De Rosa che fra le pagine de “La mente nera. Un cattivo maestro e i misteri d’Italia: lo strano caso di Aldo Semerari” (Sperling & Kupfer) analizza le singolari vicende che hanno avuto per protagonista “un criminologo amico di politici e potenti, di boss e faccendieri. Eminenza grigia dell'eversione nera”.

Com'è nata l'idea de “La mente nera”?

Era un progetto che avevo in testa da un po', perché per lavoro spesso visito criminali che chiedono di ottenere benefici di giustizia attraverso malattie mentali simulate e perché nei miei libri ho raccontato i rapporti perversi tra psichiatri e mafiosi. La storia di questo cattivo maestro della psichiatria mi sembrava  la sintesi di tutto quello di cui mi sono occupato fin qui. 

Chi era Aldo Semerari?

Un grande criminologo. Uno che parte dalla provincia pugliese, passa attraverso la militanza stalinista e neofascista, e nel frattempo diventa un cattedratico autorevole.

Ma era davvero custode di così tanti segreti?

Era uno dei tanti uomini cerniera della storia italiana. Uno che teneva insieme gli interessi della P2 di Gelli, dei servizi deviati, dell’eversione nera e  della criminalità organizzata.

Cosa lo rendeva così richiesto dagli inquirenti?

Un misto di concomitanze in cui convergono competenze professionali, autorevolezza, conoscenze e logiche lobbistiche mai davvero dimostrabili, ma sempre in sottofondo nei giri che frequentava.

E perché era così legato alla Magliana e a Liggio?

Perché, in particolare ai ragazzi di “Romanzo criminale”, Semerari pensava di poter offrire l’impunità con le sue perizie, in cambio di rapine e sequestri di persona che potessero far cassa ai neri. Il suo progetto, però, fallì.

Che idea ti sei fatto della sua attività di criminologo?

Era un luminare eclettico, molto colto, esperto di fenomenologia. Un affabulatore di salotti romani e studenti. Oggi lo definiremmo uno psichiatra mediatico, uno che era spesso in TV intervistato sui temi più bizzarri: dal banditismo sardo alla necrofilia, ai grandi mafiosi del suo tempo.

Nel libro fai l'ipotesi che lui che per anni si era occupato di criminali si sentisse in qualche modo attratto dal loro mondo?

Non credo si scelga per caso di occuparsi di determinati temi. Se poi la tua storia personale s’intreccia con i misteri d’Italia e con le vicende dei più grandi criminali del tuo tempo, un sospetto può diventare un’ipotesi più accreditata.

Come ti sei documentato per scrivere questo libro?

Sono partito dai suoi articoli e dai suoi libri, perché volevo evitare di costringere la testa Semerari solo nel bagagliaio della macchina in cui fu trovata nel 1982. Poi ho lavorato sul materiale giudiziario che lo riguardava e infine sui saggi che si sono occupati di lui e del suo tempo. Scherzo spesso dicendo che la bibliografia del libro è “intimidatoria”.

 

Che tipo di ritmo hai dato alla storia che volevi raccontare, visto che è uno strano incrocio fra il racconto nero e il reportage?

Il problema principale è stato bilanciare il racconto con il saggio. Avevo una storia in cui dovevo fare i salti mortali per essere rigoroso nel rispetto delle fonti, ma allo stesso tempo ero attratto dalla possibilità di dare a tutta la vicenda un ritmo veloce. Per questo ho provato a trasformare carte dei servizi segreti, veline, interrogatori e sentenze in dialoghi e racconto.

Che domande ti sei fatto sulla morte di Semerari?

Mi sono chiesto perché l’omicidio di una figura così controversa avesse un movente così debole come quello accertato dalle sentenze. E perché nessuno ha mai provato a riaccendere i riflettori su un caso passato troppo presto nel dimenticatoio.

Anche tu sei uno psichiatra che fa perizie su criminali, cosa ti spinge ogni giorno a svolgere un lavoro del genere?

Forse la curiosità di capire fino a che punto può arrivare la mente umana, non necessariamente solo quella malata. E i meccanismi di pensiero che spingono qualcuno a decidere di compiere il male. Che è una parte di noi.

Ti sei mai sentito in imbarazzo o in situazione di pericolo durante le tue perizie?

Beh, diciamo che se vai per questi mari, prima o poi qualcuno che si arrabbia lo incontri …

Uno degli argomenti che più hai studiato e analizzato nei tuoi lavori è quello del rapporto fra psichiatria e criminalità, cosa rende gli studiosi della follia così legati ad assassini e mafiosi?

Intanto il fatto che i mafiosi hanno troppo spesso utilizzato la follia, e gli studiosi della follia, come strumenti per ottenere proscioglimenti, sospensioni dei processi e scarcerazioni. Poi perché quando accade qualcosa di apparentemente inspiegabile come un delitto, spesso si pensa - sbagliando - che sia a tutti i costi frutto di follia e quindi si chiama in causa uno psichiatra.

Hai già in mente quale sarà la tua prossima ricerca? 

Ho qualche idea che però, sinceramente, devo ancora mettere a fuoco.