Mitch Brockedn (Dominic Cooper) è un giovane e brillante procuratore distrettuale. Vince tutte le cause, ha una bella moglie, Rachel (Erin Karpluk) ed è appena all'inizio di una carriera che probabilmente gli darà tante soddisfazioni. C'è solo un'ombra nel suo passato, quella di un fratellastro in galera, Jimmy (Ryan Robbins), ma poco importa visto che nessuno sa della loro parentela.

Una sera però la combina grossa. Messosi al volante ubriaco investe un uomo. Terrorizzato, incerto, chiama il 911 e lascia il luogo dell'incidente.

Il giorno dopo scoprirà che l'uomo è morto ed è stato trovato però dentro il furgone di Clinton Davis (Samuel L. Jackson) che viene accusato dell'omicidio. Davis invece sostiene di averlo solo raccolto dopo averlo soccorso, con l'intento di portarlo in ospedale.

Non sapendo come risolvere il pasticcio senza compromettere la sua carriera, Mitch deciderà di assumere il ruolo di pubblica accusa nel processo, lavorando invece per cercare di assolvere Davis, a dispetto della detective Blake Kanon (Gloria Reuben) che invece sostiene che Davis è coinvolto non solo in questo omicidio ma anche in altri.

L'assoluzione di Davis, ottenuta con mezzi poco ortodossi, per Mitch non finiranno i guai. Sarà l'inizio di un vero e proprio incubo e di una lotta per la sua vita e quella dei suoi cari.

Un ragionevole dubbio di Peter P. Croudins mette in campo ingredienti che da soli normalmente funzionano.

Il film processuale, che piace da sempre. Il thriller d'azione. L'intreccio investigativo. Se alla miscela si aggiungono un protagonista che è in al momento in ascesa come Dominic Cooper e un antagonista che è un beniamino del pubblico come Samuel L. Jackson, si è portati a sperare di andare a vedere un buon prodotto di genere.

Stavolta la somma di parti funzionanti da sole genera un risultato che non funziona. Per niente.

La sceneggiatura è piena di salti logici, di escamotage ingiustificati. Manca inoltre sia tensione che suspense. Il pregio è che il ritmo è veloce e i '90 minuti passano a dispetto di un'abitudine ormai ritrovata di film di almeno due ore. Una tempistica che in realtà fa il paio con la confezione complessiva, che ha una chiara matrice televisiva.

Anche i dubbi morali che il film vorrebbe instillare sono ben poca cosa. Il conflitto tra legge e giustizia, tema ricorrente anche nelle cronache dei telegiornali, rimane in superficie, accennato dal titolo, che richiama a uno dei principi base del processo penale statunitense, ma mai veramente approfondito, affogato in una pretesa spettacolarità che invece latita.

Noioso.