A volte anche la visione di un film che abbiamo gustato in decine di occasioni riserva alcune sorprese. È il caso di 55 giorni a Pechino di Nicholas Ray uscito per la prima volta nel 1963. In occasione della riedizione in blue ray (sul mercato francese) per celebrarne l’anniversario la rivista Karate Bushido gli dedica un bel dossier. Considerato che è uno dei film storici avventurosi che più mi sono rimasti nella memoria (ricordate le battute finali dell’imperatrice Cixi “la dinastia è finita”? be’ guardate un po’ come finisce L’ultima imperatrice che era una versione fantasy di quella parte di storia Cinese così importante...), decido di rivederlo per riassaporare antiche emozioni. Anche perché, in un angolo della mente s’annidava il ricordo di una scena di Wushu che forse è la prima filmata correttamente nel cinema occidentale di quell’epoca. Eccola lì, durante il ricevimento in onore del genetliaco della regina Vittoria il perfido principe Duan(un occidentale truccato un po’ alla Fu Manchu) osa portare alla legazione europea alcuni ‘boxer’ per dimostrare che sono innocui giocolieri. In realtà è una provocazione destinata a sbeffeggiare gli americani ma vanificata dalla sagacia di Charlton Heston (che, ammettiamo, è un po’ Professionista... di questa avventura in costume.).

Yuen Siu Tin al centro a torso nudo
Yuen Siu Tin al centro a torso nudo

Al di là della trovata hollywoodiana però la sequenza di combattimento simulato dei boxer con spade da Wushu è convincente e... al centro di essa un viso noto. Yuen Sin Tin, noto a tutti gli appassionati di cinema marziale per essere stato il maestro di Jackie Chan in film come Snake in Eagle’s Shadow e in Drunekn Master, e, soprattutto, essere il padre di Yuen Woo Ping, oggi acclamatissimo maestro d’armi in film come Matrix e Tigre e Dragone solo per citare i più noti. E non finisce qui. Scavando tra i segreti della lavorazione scopro che il film di Ray, girato in Spagna ovviamente, riprodusse malgrado la trovate dei tre maggiori personaggi cinesi interpretati da europei, molti dettagli realistici relativi alla rivolta dei Boxer. Questa, avvenuta nel 1900 si scatenò sotto la dinastia manchu(che era come abbiamo visto nella storia delle Triadi) odiata dalla maggior parte dei cinesi e delle loro sette perché formata da invasori mancesi mentre il popolo cinese era composto da han. La setta dei Supremi Pugni Armoniosi era un movimento patriottico, inizialmente contrario ai manchu, quanto agli stranieri che avevano concessioni in ogni porto ed erano accusati di spogliare la Cina dei suoi tesori. Non che avessero tutti i torti.

Soprattutto in quell’estate del 1900 in cui la prolungata siccità aveva ridotto alla fame numerose regioni. I Boxer armati delle armi tradizionali del Wushu ma anche di forconi e bastoni, cominciarono a massacrare gli avamposti europei, accanendosi soprattutto con i missionari. La dinastia, inizialmente non li vedeva di buon occhio. Nel film il principe Lung cerca in ogni modo di prendere le distanze dal gruppo. Il principe Duan, invece, vide un’ottima occasione per sollevare tutto il popolo cinese contro gli invasori e convinse l’impetratrice vedova8la cui storia merita un romanzo a sé) a spalleggiare i rivoltosi affiancandoli con le truppe imperiali meglio armate.

I Boxers infatti oltre alla leggenda che li voleva invulnerabili alle pallottole, erano armati solo della conoscenza della Boxe degli otto trigrammi, stile interno codificato da non molti anni da Dong Haichuan. Dong non era un rivoluzionario ma uno studioso, proveniente dalle montagne del Wudang, dove aveva studiato con i monaci taoisti gli ‘stili interni’. Per un periodo era stato anche a corte diventando maestro d’armi sia del principe Duan che dell’imperatrice, ma poi si era ritirato a vita privata. Ai tempi della rivolta dei Boxer era sparito dalle scene ma fu forse il vincolo marziale a stringere il legame tra i Manchu e gli insorti. Di certo fu più noto un suo allievo, capo dei boxer di nome Cheng Ting Hua che, con due coltelli abbatté dieci soldati tedeschi prima di essere ucciso.

Insomma, il kung fu per quanto praticato con abilità in una battaglia campale aveva necessità dei cannoni. Da qui l’episodio del lungo assedio delle legazioni raccontato nel film. Nicholas Ray aveva immaginato un film più cupo, basato soprattutto sull’angoscia dei difensori. La produzione americana notò che la maggior parte delle scene d’azione erano poste a metà del film e mancava un finale catartico. Ray si piegò a un parziale aggiustamento che portava un’epica battaglia nella notte poco prima della fine e dell’arrivo dei sospirati rinforzi da Tiensin. Ovviamente amore, coraggio, solidarietà e prevalenza delle potenze colonialiste conferirono quella epicità americana che per l’epoca sembrava irrinunciabile(considerato che era appena cominciata la campagna american anticomunista in Vietnam).

Alla fine un film gradevole anche se ovviamente hollywoodiano. Ma perfetto nei dettagli, dalle armi ai combattimenti.

         

E credo fu proprio questa cura (come in un altro film di Richard Borooks, Lord Jim, dove si vedono per la prima volta sequenze di Muay Thai girate nel suggestivo scenario di Angkor Wat che nella finzione è la Malesia) che hanno alimentato la mia passione per l’Oriente. L’Oriente ottocentesco, con i vecchi fucili, i sobborghi abitati da personaggi bizzarri armati di strane lame serpeggianti. Le fantasie di Salgari che si andavano a unire all’esotismo degli eroi di Segretissimo. Da qui nascono molte ispirazioni tipiche del professionista ma anche di altri miei libri. Per esempio Amori e crudeltà dell’Orchidea Rossa (Dbooks edizioni disponibile su IBS) è una storia da me amatissima di cui vi ho parlato più volte e che in questi mesi ha avuto una nuova curata edizione. Il protagonista si chiama... Stephen Gunn. Vedete un po’ voi...