Il 15 luglio 1905 la rivista “Je sais tout” esce con un palinsesto incredibile. In copertina il generale Joseph Simon Gallieni, comandante nelle colonie e figura di grande spicco; all’interno ricchi approfondimenti sulla politica coloniale; approfondimenti scientifici del professor A. Berget; un saggio turistico del presidente del Touring Club A. Ballif e un ritratto a puntate di Sarah Bernhardt. Per le materie letterarie troviamo uno scritto di Pierre Loti, membro dell’Académie française, poesie di firme autorevoli come Jean Lorrain e la Baronne de Baye, e addirittura un inedito di Alfred de Musset. In mezzo a questo piatto ricchissimo, a questa spremuta del miglior succo dell’intellighenzia francese... c’è la prima avventura di un ladro! Sarà pure gentiluomo, ma sempre ladro è...

        

Non è certo un argomento nuovo in narrativa. Proprio in quegli anni in Inghilterra è grande il successo delle storie di Ernest W. Hornung – il genero di Arthur Conan Doyle! – incentrate sul personaggio A.J. Raffles, ripreso poi dal 1933 da Barry Perowne per un ciclo di racconti sulla “Ellery Queen’s Magazine”.

Iniziate nel 1898, e arrivate poi anche a teatro, le storie si incentrano su un «cittadino ligio alla legge con una reputazione da perdere», come si presenta egli stesso nella prima avventura Le idi di marzo (The Ides of March, “Cassell’s Magazine” giugno 1898): perennemente in ristrettezze finanziarie, Raffles è un gentiluomo di ottima educazione e dai modi impeccabili che all’onesto lavoro preferisce il latrocinio. Insomma, un ladro gentiluomo. «Perché avrei dovuto lavorare quando potevo rubare? Perché avrei dovuto condurre una via monotona e sgradevole, quando l’eccitazione, l’avventura, il pericolo e una bella vita mi attendevano?» spiega Raffles al suo amico Harry Manders detto Bunny che, da quando è iniziata la loro collaborazione criminale quel 15 marzo che dà il titolo al racconto, gli è complice ma soprattutto biografo-narratore alla Watson. (La traduzione riportata è di Marika Motta Lombardo da una delle rare pubblicazioni italiane dei racconti di Hornung: Il Giallo Classico n. 31, Garden Editoriale 1992.)

Maurice Leblanc conosce le storie in lingua inglese di questo «maître cambrioleur», come lo definisce “Le Figaro” nel 1906? È vero, il successo di Raffles in Francia arriva solo dopo quello di Lupin, tradotto infatti da Henry Evie nel 1907 per la casa editrice Juven, proprio lo stesso anno in cui venivano raccolte in volume le storie di Leblanc, ma quest’ultimo – ben informato sulle novità inglesi grazie al salotto letterario della sorella – poteva non sapere di un personaggio che in quegli anni sta rielaborando il personaggio di Sherlock Holmes in chiave criminale? Alcuni lo danno per scontato, altri lo negano.

Di sicuro però Leblanc non può ignorare le avventure di Rocambole nel mondo criminale, che Ponson du Terrail scrive da metà Ottocento, così come pare difficile ritenere che gli sia ignoto il romanzo Les vingt et un jours d’un neurasthénique (1901) in cui il discusso autore Octave Mirbeau dà vita all’élégant cambrioleur Arthur Lebeau: neanche a dirlo, anche lui ladro e gentiluomo, anche se forgiato su celebri anarchici ritratti dalla cronaca parigina. È un personaggio disincantato dalla società capitalistica, e vede nel latrocinio «l’unique préoccupation de l’homme».

Non dobbiamo però dimenticare che Leblanc è un grande ammiratore di Maupassant, narratore che si è sempre fortemente ispirato alla cronaca nera riportata dai quotidiani: non è escluso che soprattutto nei primi racconti, con vicende di galera e di processi, lo scrittore si sia ispirato alla cronaca del suo tempo. Possiamo dunque benissimo abbracciare tutte le tesi e pensare che nella mente di Leblanc si sia formato un patchwork: l’intelligenza del Dupin di Poe, le iniziali di Arthur Lebeau, la deduzione di Holmes, il “gentilomismo” di Raffles e l’avventurosità di Rocambole. Il tutto condito con fatti di cronaca vera.

          

Torniamo a quel 15 luglio 1905, quando esce la prima avventura di Lupin.La scena si apre su un voyage, proprio come l’incipit del romanzo di Mirbeau. Una crociera di gente per bene viene d’un tratto funestata da un messaggio inquietante: «in un pomeriggio tempestoso il telegrafo senza fili ci trasmetteva un dispaccio di cui ecco il tenore: Arsène Lupin a bordo, prima classe, capelli biondi, ferita avambraccio destro, viaggia da solo, sotto il nome di R...» Il messaggio si interrompe a causa di un «tuono violento» e così non si può sapere sotto quale nome il ladro si annidi fra la gente per bene.

In poche parole Leblanc invece di raccontare le origini del personaggio si diverte a parlarne come se il lettore ben conoscesse le sue imprese. (Proprio come fa Hornung col suo Raffles). Comincia a citare avventure passate come se fossero ben note a tutti, così come celebri sono i fantomatici tentativi del vecchio ispettore Ganimard («il nostro migliore poliziotto») di acciuffare il criminale giungendo persino ad un «duello mortale». Con malcelato divertimento l’autore si lancia in racconti improbabili che riguardano il ladro che si dedica a svaligiare soltanto castelli e salotti, «e che una notte in cui era entrato dal barone Schormann, ne era uscito a mani vuote lasciando il suo biglietto da visita, su cui aveva scritto la frase seguente: “Arsène Lupin, ladro gentiluomo, tornerà quando i mobili saranno autentici”».

Con questo strano connubio di inglese e francese, gentleman-cambrioleur, nato solamente quando i racconti sono stati raccolti in volume nel 1907 – e sicuramente debitore del maître cambrioleur Raffles e dell’élégant cambrioleur Lebeau – Leblanc tiene a battesimo il suo mito Arsène Lupin.

        

Tenendo fede alla richiesta di Lafitte, cioè di scrivere un racconto alla Sherlock Holmes, Leblanc si lancia nella più pura deduzione: sebbene il messaggio sia monco, quanti viaggiatori biondi di prima classe hanno il cognome che inizia per R? Il gioco è fatto. Ma Leblanc non resiste a prendere un po’ in giro la logica d’acciaio del personaggio inglese, così il viaggiatore accusato di essere Lupin mascherato, biondo e con il cognome che inizia per R, prende la parola e si lancia nell’apoteosi del ragionamento deduttivo: «Visti il mio nome, la mia qualità di viaggiatore isolato e il colore dei miei capelli, ho già iniziato un’inchiesta analoga e sono arrivato allo stesso risultato. Sono dunque del parere che mi arrestino».

Insomma, sin dal primo racconto Leblanc fa capire che non ha alcuna intenzione di prendere sul serio l’eredità di Conan Doyle.

         

(continua)