L’ispettore John Rebus è di nuovo tra noi, dopo che quattro anni fa ci aveva abbandonato – desolati – in Partitura finale; l’autore evidentemente aveva deciso di prendersi una vacanza dal suo ingombrante personaggio (nel frattempo di Ian Rankin sono usciti, fuori serie, Un colpo perfetto e Il persecutore) e l’editore italiano chiaramente non era propenso, per motivi che ci sfuggono, a tradurre i primi casi di Rebus e alcune sue avventure raccolte in antologie di racconti, tutti peraltro inediti nel nostro paese.

Ritroviamo però il nostro eroe sempre volonterosamente propenso all’alcoolismo e al tabagismo, con uno stile alimentare che garantirebbe una morte prematura a ben più d’una persona e con il vuoto che gli si è spalancato dinanzi con l’uscita dai ranghi della polizia di Edimburgo per la non troppo sospirata pensione.

Ma lui non si arrende: da un lato collabora come civile, assieme ad altri detective in pensione, alla SCRU, l’unità che riesamina i casi insoluti del passato; dall’altro ha presentato la domanda di reintegro in servizio attivo, visto che l’età pensionabile è stata spostata in avanti. Ed è appunto in veste di collaboratore della SCRU che riceve la denuncia di una certa Nina Hazlitt che da anni cerca di farsi ascoltare dai competenti organi di polizia per la scomparsa, avvenuta nel 1999, di sua figlia Sally; gli unici che sembrano averle concesso attenzione sono stati Gregor Magrath, il fondatore della SCRU, ormai in pensione, e lo stesso Rebus: il quale avvia una serie di ricerche che pian piano coinvolgono diversi reparti di ex colleghi, che disturbano gli affari dei boss della malavita locale e che gettano su di lui ombre inquietanti di corruzione, almeno agli occhi della sezione Lamentele, ossia delle indagini interne al corpo di polizia.

E così, pian piano, riemergono dalla nostra memoria la migliore allieva di Rebus, l’ispettore Clarke, dall’impronunciabile nome gaelico (Siobhan); la figlia Samantha, colpevolmente trascurata negli anni a favore della professione; e l’Arcinemico in persona, il boss Big Jer Cafferty, apparentemente in pensione anche lui, ma desideroso di tornare in qualche modo in pista. E naturalmente, sullo sfondo, una Edimburgo sempre meno romantica, intasata dal traffico e sfigurata dai lavori della metropolitana leggera, e il paesaggio quasi incontaminato della Scozia settentrionale dove lo sguardo annega tra i fiordi, le brughiere e le nebbie di quelle lande desolate.

Diversamente però dalla quasi totalità delle ultime inchieste, in cui Rebus e i suoi collaboratori erano impegnati in due o più indagini, che solo nel finale convergevano a creare un singolo affresco criminale, qui la vicenda all’inizio è unica: dal passato emerge infatti la scomparsa di Sally Hazlitt e nel presente si registra quella della giovanissima Annette McKie; entrambe poi sono collegate dal filo rosso di una serie di ragazze letteralmente svanite nel nulla in quell’arco di tempo.

Rebus così si ritrova a lavorare a fianco della Clarke, subordinata e legata sentimentalmente al capo del suo ufficio James Page; ma la sua natura anfibia di ex poliziotto lo pone subito in cattiva luce presso tutti i suoi ex colleghi; senza contare che il quadro è complicato dal fatto che Annette è sorella del diciottenne Darryl, giovane boss emergente, mentre Frank Hammell, ex compare di Cafferty e messosi in proprio, è il compagno della madre della ragazza.

Rebus naturalmente non si fa scrupolo di seguire il suo estro investigativo, frequentando Cafferty e Hammell pur non concedendo loro niente (a differenza di quanto credono quelli delle indagini interne), omettendo di avvertire i superiori delle sue mosse, provocando con la sua cronica mancanza di puntualità e i modi decisamente eterodossi tutti coloro che in qualche modo sono impegnati nelle indagini. Tutti, tranne Siobhan che invece, grazie alla rinnovata frequentazione con Rebus, capisce che seguire le sirene della carriera ne avrebbe fatto forse una donna di successo, ma sicuramente una sbirra molto meno brava e autentica.

Naturalmente la nostra coppia investigativa (che non cela il segreto legame – e non solo professionale – che ha contraddistinto il loro rapporto negli anni) riesce nel finale a sbrogliare la matassa, inchiodando l’apparentemente inattaccabile serial killer, ma utilizzando procedure assai discutibili; senza contare che stavolta il consueto colpo di scena finale fa sì che le vicende della donne scomparse non siano tutte riconducibili a un’unica linea investigativa.

Rebus e Rankin sono dunque tornati in pista più in forma che mai e il fatto che il nostro ex ispettore sembri avere buone possibilità di reintegro lascia lo spazio a più di una speranza tra i fan del detective scozzese: può darsi infatti che Rankin si sia convinto, dopo aver pensionato il suo eroe, di non poterne fare del tutto a meno – come d’altra parte insegna tutta la letteratura di genere dell’ultimo secolo – e di poterlo riutilizzare, magari con cadenze meno ravvicinate, per mantenere un filo diretto coi suoi lettori più affezionati ed esigenti.

Nel frattempo – lo ribadiamo in chiusura di recensione – non sarebbe male se la Longanesi, a meno che non si oppongano insuperabili ragioni di diritti editoriali o addirittura veti dello stesso autore, cominciasse a tradurre il “vecchio” Rebus da noi ancora sconosciuto: magari utilizzando la buona, vecchia sequenza cronologica che permetterebbe, tra inediti e ristampe, di godere appieno della carriera inimitabile di questo rude detective del Nord.

Voto: 7.5