La storica testata Diabolik si rinnova con l’inizio del 2014 e presenta alcune novità nella grafica, mentre si conferma la presenza fissa di Matteo Buffagni alla cura delle copertine.

Classe 1984, proveniente dalla Scuola Internazionale del Fumetto di Firenze ed ora insegnante di Anatomia Dinamica in quella di Reggio Emilia, Buffagni dal 2011 collabora anche con la Marvel per cui ha curato svariati numeri della serie “Dark Wolverine”.

Lo abbiamo incontrato per parlare di questa sua esperienza diaboliKa.

     

Cominciamo con una domanda a bruciapelo: cosa si prova a curare le copertine di un personaggio storico come Diabolik?

Da grandi opere derivano grandi responsabilità!

In realtà la prima sensazione che ho avuto è quella che si prova davanti ad un avvenimento fuori dalla propria portata: un misto di timore e incredulità... e forse a dirla tutta non me ne sono ancora reso conto.

Detto questo, sono chiaramente entusiasta della notizia e farò il possibile perché LUI* non rimanga deluso.

(*alias il direttore Mario Gomboli)

     

La tua gavetta è stata lunga: vuoi parlarci delle tue “origini” artistiche?

Se per gavetta vogliamo intendere la mia passione per il disegno devo ammettere che risale ai miei primi passi, ma se parliamo di quella lavorativa vera a propria penso di potermi definire un privilegiato, dato che all’istituto artistico e alla Scuola Internazionale di Comics è seguito subito un periodo di collaborazione nello studio di Giuseppe Palumbo in quasi concomitanza con l’inizio della mia prima e unica opera francese [Vestiges, Clair de Lune 2010]; da lì, in meno di due anni, ho iniziato a collaborare con Marvel e Astorina, il resto lo sapete già.

     

Sappiamo che hai disegnato un personaggio Marvel estremo come Daken, il figlio di Wolverine: cosa puoi raccontarci di questa esperienza?

Wolverine disegnato da Matteo Buffagni
Wolverine disegnato da Matteo Buffagni
Fui scelto per portare a termine la serie iniziata dal nostro Giuseppe Camuncoli, con il quale ho anche avuto il privilegio poi di lavorare sia alla scuola di Reggio Emilia che su alcune pagine per Capitan America, e l’ho fatto cercando di rispettare sia l’impronta dark che la caratterizzazione del personaggio, ovviamente mediata dal mio stile.

È stata la mia prima esperienza alla Casa delle Idee e non posso che ricordarla come uno dei momenti più belli della mia vita, professionale e non.

     

Torniamo al Re del Terrore: come sei arrivato alle copertine di Diabolik?

In realtà ancora non lo so, penso che sia piaciuta molto la mia copertina del numero di luglio 2012 “Sentenze di morte”, e che forse Mario Gomboli abbia deciso di puntare sul cavallo giovane.

O forse non è così, magari dietro c’è un complotto e nulla è come sembra...

     

Ti chiedo un paragone forse impossibile ma di sicuro intrigante: fumetti americani e italiani, c’è differenza di fondo o è tutto nella mano del disegnatore?

Copertina del 2012 disegnata da Matteo Buffagni
Copertina del 2012 disegnata da Matteo Buffagni
La differenza a mio parere c’è e sta nel “making of”: in Italia vi sono ritmi più tranquilli e c’è una maggiore attenzione nelle revisioni, almeno per quello che riguarda la mia esperienza, rispetto agli USA, questo garantisce sempre uno standard più che buono ai lavori nostrani, anche se a volte il ritmo serrato e la maggiore permissività degli americani, soprattutto verso i disegnatori, sono stati terreno fertile per alcuni grandi artisti.

     

Infine, c’è qualche consiglio che ti senti di dare ai giovani disegnatori che sognano di curare future copertine?

Io consiglierei solo di mantenere un profilo basso, darsi dei traguardi ambiziosi e lavorare sodo per raggiungerli, perché nella mia breve carriera da insegnante ho notato una grande mancanza di praticità da parte dei ragazzi, mista a un’incapacità di portare a termine i propri progetti.

Quindi se volete diventare ricchi e famosi, partecipate a un reality, che in questo lavoro la strada è lunga e in salita, leggermente in salita, che non te ne rendi conto, ma ti sega le gambe, e se non si ha ben in testa l’arrivo spesso ci si perde a metà.