Kubrick, il grande, grandissimo, inarrivabile Stanley Kubrick, sarebbe impazzito per un film così e in men che non si dica avrebbe voluto saper tutto sulla realizzazione degli effetti visivi che fanno di Gravity, del messicano Alfonso Cuarón, uno spettacolo di grande impatto visivo.

Ciò detto, inutile passare sotto silenzio ciò dovrebbe marciare assieme al decor visivo per così dire, la storia insomma, che altro non è che una mediocre riproposizione di un genere, quella del “film di sopravvivenza” che ha conosciuto tempi migliori e film migliori (uno a caso ma mica tanto? Cast Away) genere che per funzionare a dovere non può prescindere (a nostro sindacabile giudizio…) da quanto la storia sia percepita come credibile. In altri termini in che misura la storia sia, ci si passi il termine, “accadibile” in termini realistici a chiunque di noi (di voi, di tutti..).

Da questo punto di vista le peregrinazioni spaziali della dott.ssa Ryan Stone (Sandra Bullock) coadiuvata dal Kowalsky di turno (George Clooney),  da Hubble (il telescopio spaziale) alla terra, passando per varie basi spaziali (cino-russe), è talmente inverosimile da risultare fasulla al pari di una serie di metafore (cordone ombelicale, Eva prima donna sulla terra, binomio morte/rinascita...) talmente scontate da rasentare l’ingenuità.

A guastare definitivamente la riuscita è quella falsa “maraviglia” che andrebbe abolita ora e per sempre e che risponde al nome di 3D. Nella fattispecie lungi dall’aggiungere qualcosa alla storia, le toglie invece quel quid di “ruvidità” che sarebbe stata più congeniale alle distruzioni che danno l’abbrivio alla storia.

Solo per chi crede che le lacrime come sopra (in 3D cioè…) che galleggiano verso chi guarda siano meglio di quelle che se ne stanno dove devono…(a prescindere dalla gravità 0).