Non ho mai riflettuto troppo sul concetto di romanzo storico, convinto che una qualunque trama con la pretesa di avere radici ben salde nel contesto sociale narrato (che non sia la stretta quotidianità), porti necessariamente in sé le atmosfere di un mondo da guardare con la testa rivolta all’indietro. E a farla da padrona devono essere memoria, lucidità del ricordo e sapiente descrizione dell’emozione che tutto ciò resuscita nello scrittore. Così come l’ambientazione, precisa ma allo stesso tempo funzionale senza essere didascalica, e i personaggi, espressione di un profilo adeguato alla realtà in cui sono incarnati e che di quella realtà sono soprattutto portatori di pensieri, cultura e costume. Però tutto ciò non sembra essere sufficiente. L’elemento che permette di battezzare come “storico” un romanzo è stato dettato da critici e accademici (che di regole sono maestri) i quali hanno sancito che devono essere trascorsi almeno cinquant’anni. Come le macchine d’epoca.

Il che escluderebbe dalla partita Io sono le voci, di Danilo Arona. Scartato per un cavillo procedurale, si potrebbe dire, visto che il cuore della trama si sviluppa negli anni settanta e la matematica non è un’opinione. I cinquant’anni sono ancora da venire. Per un punto Martino ha perso l’asino, si dice nella terra di Bassavilla, tanto cara a Danilo Arona. Allora, schema per schema, andiamo sul sicuro: classifichiamo Io sono le voci come un thriller. Un noir. Così tagliamo la testa al toro. Che probabilmente thriller lo è pure, non mancano gli elementi classici del noir e la suspence è sempre pronta ad aggredire il lettore. Poi si può anche rilevare che a tratti la scrittura rivela la ormai nota famigliarità per il genere horror e per i suoi avvitamenti tra incubi e paranormale. Ma ciò che dà forza al romanzo è il salto nel passato compiuto dall’autore, dove si ipotizza “una linea di sangue che parte dal 1961 per continuare ancora oggi”. Ogni pagina è affilata, un colpo di bisturi dietro l’altro per vivisezionare gli elementi portanti, ovvero gli spaccati di storia sociale e di costume cui la trama fa riferimento. Il tutto valorizzato dallo strumento che Arona ben conosce e ben padroneggia, cioè il cinema. E così rispolvera una lunga carrellata di pellicole. Una cinquantina di titoli scorrono nell’impianto narrativo, quasi tutte prodotte fino alla fine degli anni settanta. Si racconta un cinema fatto non solo di immagini, ma cresciuto tra le pieghe intellettuali e un po’ maniacali di cinefili e cineforum. Riprendono vita (con tratti leggerissimi di penna) le atmosfere di quando al cinema si fumava, le seggiole di legno scricchiolavano mentre la luce del proiettore assorbiva volute di nebbia alle spalle di uno spettatore a volte distratto da flash sullo schermo a indicare le rotture di una pellicola usurata e rimessa insieme con un taglio netto di forbici e una spennellata di acetone. Gli anni in cui il cinema era capace di far vivere emozioni forti con espedienti molto artigianali, la sensualità di gambe velate e accavallate, la passione di un amplesso tra corpi attorcigliati da pudiche lenzuola. Immagini spesso sfocate, e suoni distorti dalle proiezioni fatte in cinema all’aperto spesso in compagnia di zanzare e qualche pipistrello. E la paura, fatta di primi piani di lame a mezz’aria, di mani guantate e soprabiti neri e lucidi, bagnati di pioggia notturna. Ed è proprio attraverso queste stesse emozioni dei protagonisti di Io sono le voci, maturate nel tempo, fin dagli anni della loro difficile adolescenza, che si snoda la follia di cui si nutre l’intera vicenda. “Da sempre in Italia avvengono omicidi inspiegabili che sembrano trovare una loro magra giustificazione nella ferocia esibita.” Sottolinea lo stesso Arona “Dagli anni Sessanta,poi, è in atto un’escalation. Prima in una città di provincia nel nord Italia. Poi a Milano nel decennio successivo con giovani donne trucidate attraverso modalità di raro sadismo.”

La vera protagonista è una giovane e determinata giornalista investigativa dei giorni nostri, Cassandra Giordano, che scopre un impensabile filo rosso che collega  delitti tra loro lontani nel tempo e nella geografia: la visione di certi film, il cosiddetto effetto Copycat (uno dei più recenti e clamorosi esempi è la strage di Aurora avvenuta in concomitanza con la prima di The Dark Knight Rises, l’ultimo film di Barman) le voci nel cervello che spingono a uccidere emulando gli omicidi passati sullo schermo. Cassandra stessa ne diventa vittima, passa il testimone alla sorella Arianna e a un ispettore di polizia. Le indagini prendono il via. Da Bassavilla fino ad una Milano che si trasforma in un sanguinario set cinematografico. Fino a smascherare le prime avvisaglie del dopoguerra e proseguendo il percorso agli anni settanta, quando la cronaca nera era soffocata dall’incalzare di avvenimenti politici ben più gravi. Strategia della tensione e Brigate Rosse rubano la scena a casi autentici e mai risolti

Una scrittura quasi a sequenze, resa ancor più incalzante dallo stile tipico di Arona dove le vicende si muovono in una continua miscellanea di ingredienti che si intrecciano tra una potente prosa narrativa, deviazioni dal sapore saggistico e scioltezza nella forma giornalistica. In Io sono le voci resta solo da chiarire quanto Danilo Arona ami di più la letteratura o il cinema, ma è meglio non rivolgergli questa domanda. Meglio non farsi ingannare dall’abilità con cui si destreggia nel mondo del cinema, o dalla ricca produzione letteraria che ne ha caratterizzato i suoi ultimi anni da scrittore. Potrebbe tacere, alzarsi con aria un po’ mesta e prendere in mano una chitarra. Del resto Il vento urla Mary, e per lui urlerà sempre.