Gli anni Settanta del secolo scorso videro l’affermarsi netto e deciso, specialmente nei paesi anglosassoni, Stati Uniti in particolare, di un nuovo modo di giocare alla guerra sul tavolo: il boardgame dimensionale. Nato come derivazione dei sistemi esistenti da decenni per giocare con i soldatini anche una volta raggiunta la maggior età (in fondo, il senso dei wargame tridimensionali è proprio quello di regolarizzare e rendere più “adulto” un modo di giocare alla guerra che i maschi adulti di buona parte del mondo occidentale hanno da sempre espresso nella fanciullezza, salvo venire poi travolti dai videogames fin dalla più tenera età, e quindi sublimare in modo più diretto e personale quella sorte di spirito di aggressione innata che caratterizza il lato animale del genere umano - e che viene altresì scaricato nello sport in tutte le sue incarnazioni), il wargame bidimensionale, o simulazione storica, trova il suo boom esplosivo proprio a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, quando il Vietnam era ancora presente quotidianamente nelle televisioni di ogni americano, quando la Guerra Fredda lasciava intravedere a ogni piè sospinto il pericolo di trasformarsi nel terzo conflitto mondiale, quando molti dei giovani del tempo avevano avuto o tuttora avevano un padre che aveva combattuto in Corea o anche nella Seconda Guerra Mondiale, e c’era quindi la possibilità di immedesimarsi nelle loro “avventure” riproducendo una particolare battaglia o campagna militare su carta.

Due erano le case editrici che più di ogni altra imposero il loro imprint su di un’intera generazione di giocatori (ma lasciando strascichi che perdurano fino ai giorni nostri, quando quella stessa generazione di giocatori, ormai in gran parte oltre la sessantina, si è resa conto di essere diventata una razza in via di estinzione, e che le centinaia di migliaia di giocatori di un tempo, si sono ridotti a poche migliaia in tutto il mondo, con i giochi di simulazione per computer ad aver in massima parte sostituito i prodotti cartacei), le Celtics-Lakers, o per dirla all’italiana Inter-Juventus, del mondo del gioco: la Avalon Hill (celebre per aver pubblicato alcuni dei wargames più famosi della storia, come Squad Leader, Civilization - non quello per computer, per quanto ne sia stata fatta anche una trasposizione per PC - Diplomacy - in realtà originariamente un prodotto britannico, ma reso un successo internazionale dalla casa editrice di Baltimora - Third Reich e numerosi altri) e la newyorkese SPI, che nel giro di poco più di un decennio ha pubblicato oltre 300 titoli e pubblicato una pletora di riviste, contribuendo allo sviluppo e alla diffusione non soltanto del wargame storico o ipotetico (come anticipavo prima, una cospicua fetta del mercato era rappresentata dai possibili “what if?” dedicati alla Terza Guerra Mondiale, con scenari e ambientazioni alquanto variegati quanto a locazioni geografiche e scala della simulazione), ma anche a quello fantasy e di fantascienza, come andremo a vedere a breve (entrando finalmente in argomento).

      

Giochi tratti da romanzi o da film ne erano già esistiti in precedenza (come avrete modo di vedere in altre puntate di questa rubrica, se avrete la pazienza di seguirci nei prossimi mesi), ma la SPI (acronimo di Simulations Publications Inc.) superò ogni limite precedente, regalando al mondo del gioco un cospicuo manipolo di titoli di qualità variabile, su opere assolutamente di primo livello nel panorama del fantastico internazionale, in primis la tolkieniana Terra di Mezzo, ma anche - pur se alla fine in versione apocrifa non autorizzata - il fenomeno della seconda parte degli anni Settanta, la saga di Guerre Stellari.

Proprio la Terra di Mezzo è il primo scenario fantastico già esistente a essere scelto dalla SPI per addentrarsi con grandi aspirazioni in campi diversi dalla simulazione storica. E che esordio? Ottenuti i diritti per l’opera tolkieniana (giunta al grande pubblico da circa un decennio, dopo l’edizione mass market della trilogia originale), il gruppo di progettisti di giochi della SPI (guidato in questo caso da Howard Barasch e il celeberrimo Richard Berg, una delle icone internazionali della simulazione storica, eclettico e simpaticissimo avvocato, che sta al wargame su carta come Isaac Asimov alla fantascienza, quanto a notorietà e capacità di incidere sulla diffusione del genere) nel 1977 lancia non uno, ma addirittura tre giochi dedicati al Signore degli Anelli e alla Terra di Mezzo: Gondor (dedicato all’assedio di Minas Tirith narrato nel terzo volume del Signore degli Anelli), Sauron (dedicato alla battaglia di Dagorlad, tratta della Seconda Era) e War of the Ring (un gioco strategico su larga scala su di una mappa che ritraeva l’intera Terra di Mezzo nella Terza Era, unito a un interessante proto-gioco di ruolo, in cui i giocatori tenevano i singoli membri della compagnia dell’anello, costretti a confrontarsi con i Nazgul e le altre creature maligne dell’universo tolkieniano, in cerca dell’Unico Anello, capace di risolvere la partita in modo decisivo a favore delle Forze del Bene o di quelle del Male).

Gondor edizione originale
Gondor edizione originale
Se i primi due (disegnati in realtà dalla coppia Rob e Linda Mosca) erano sostanzialmente delle semplici trasposizioni di wargame di ambientazione medievale (i due autori avevano all’attivo giochi sulle battaglie di Re Artù e di Tamerlano il grande), con una minima infarinatura fantastica, War of the Ring è da considerarsi un vero e proprio capolavoro, un precursore di un modo di gioco che ha fatto scuola sia nell’ambito della stessa SPI, che nei decenni successivi.

Rivolto a un pubblico di wargamer esperti (ovvero di giocatori che non storcono il naso davanti a un regolamento di gioco di diverse decine di pagine scritto fitto fitto e in “spigalese” - neologismo inventato dai giocatori dell’epoca per indicare i regolamenti della SPI, scritti come se si trattasse di articoli di un codice di leggi - “legalese” in inglese) ben più delle due battaglie citate in precedenza (anche esse però wargame tradizionali, e quindi sostanzialmente molto più complicate e diverse nell’approccio di quanto possa credere il semplice giocatore di Risiko, Monopoli o altri giochi classici), il gioco richiedeva numerose ore per poter essere portato a termine (non meno di 4 o 5, generalmente molte di più), ma ricompensava gli audaci che non si spaventavano davanti all’impresa con un’esperienza ludica di primissimo ordine, un’immersione totale nel mondo della Terra di Mezzo, capace appunto di poter essere giocata su più livelli, ma che trovava il suo punto G nella versione completa, dove accanto al movimento strategico delle armate tolkieniane e

Gondor in edizione polacca
Gondor in edizione polacca
al clangore delle sue enormi battaglie si univa la quest più tipicamente cara ai lettori del bardo di Albione, resa più vivace dagli splendidi disegni delle carte e delle ambientazioni (dovute in parte perfino al grande Ralph Bashki, che di lì a poco avrebbe portato le imprese della compagnia dell’anello sul grande schermo, nel suo controverso lavoro animato), che trasformava la semplice guerra strategica in un gioco da tavolo molto più rifinito, dove il gioco dei personaggi e degli equipaggiamenti a disposizione poteva alterare in modo radicale l’esito della partita.

Il gioco era sostanzialmente a due giocatori, ma esistevano anche degli scenari per poter far partecipare come forza autonoma il terzo incomodo della Guerra dell’Anello, Saruman. Piuttosto apprezzato fin dall’inizio (e pubblicato anche in versione polacca - non ci crederete, ma la Polonia è forse il paese non anglofono dove il wargame di simulazione storica è stato sempre più diffuso, ancora in pieno periodo di Patto di Varsavia e Cortina di Ferro - e giapponese), War of the Ring è adesso un prodotto molto ricercato dai collezionisti (vale ben oltre i cento euro se in condizioni accettabili) non solo per farne bella mostra sugli scaffali, ma anche - ed è, credetemi, cosa rara fra i wargamer odierni - giocato sul serio!

           

mappa di gioco di Dawn of the Dead
mappa di gioco di Dawn of the Dead
L’anno successivo, il 1978, la SPI prova a entrare nel campo degli instant games tratti da film (cosa che oggi avviene soltanto nell’ambito dei videogiochi) e grazie al giovanissimo e talentuoso John Butterfield (in seguito diventato un eccellente disegnatore di wargame, specialmente dedicati al gioco in solitario) produce Dawn of the Dead: il gioco riproduce fedelmente la “battaglia” del centro commerciale descritta nel film di George A. Romero, con i singoli personaggi del film, e permette di essere giocato in due (umani vs zombies), in solitario (la soluzione più idonea) o addirittura come gioco cooperativo fino a 4 giocatori umani contro il sistema di gioco che gestisce i non morti romeriani.

Forse un po’ ripetitivo per gli standard di gioco odierni (ma comunque estremamente ricercato nell’ambito del collezionismo - una copia in buone condizioni può facilmente superare i cento euro, nonostante ne esistano delle versioni print ‘n’ play - ovvero autostampabili - ricavabili dal web - in maniera non propriamente “legale”; d’altra parte il gioco ha oltre trent’anni e la SPI è fallita nel 1981/82), Dawn of the Dead può essere considerato un vero e proprio precursore del filone ludico zombesco, letteralmente esploso nel nuovo Millennio (a partire da quello Zombies, cui abbiamo accennato nel nostro precedente pezzo sui giochi tratti da Army of Darkness, e i suoi innumerevoli cloni).

       

(alla prossima puntata)