Si dice che un tempo erano le notti di luna piena a ispirare i poeti, i tramonti a suggerire quella sfumatura indaco ai pittori, oggi sembra essere la negatività della società a ispirare gli scrittori. Corruzione, potere, gerarchie, perché se è vero che ciò che sentiamo di manifestare è qualcosa che si trova dentro il proprio essere, è anche vero che lo stesso è un riflesso del mondo che ci circonda. Ecco dunque che anche gli aspetti più grotteschi e nebulosi che viviamo nel nostro quotidiano, si riflettono nel sentire comune. Tra tecnologia e scienza sempre più all’avanguardia, i nostri limiti si sono spinti sempre un po’ più in là… così forse anche le nostre primarie pulsioni di rivalsa su di una razza o di un popolo si sono accentuate tanto da legittimare taluni comportamenti e soprassedere su altri. Così che ciò è giusto è diventato sempre più labile e l’ordine diviene una matrice che non sempre rientra in un’equazione di carattere etico. Prendiamo lo spunto del romanzo Io non sono come voi finalista al premio Urania (Mondadori 2012) edito dalla casa editrice Gargoyle per parlare con il suo autore, Italo Bonera, che sembra non temere di toccare temi come totalitarismo, censura, violenza e abuso di potere per tratteggiare una realtà sempre più presente con il pretesto che questo sia solo una trama di un romanzo dall’ordito originale, ma descrivendo crudelmente e realisticamente una piaga sempre più presente nel vivere di oggi.

Il romanzo nasce da un fatto di cronaca, ce lo vuoi raccontare?

“Nel 2007 ho letto un articolo di un’evasione rocambolesca, in cui un albanese si era finto in stato comatoso per un mese per poi assalire le guardie e fuggire… ho immaginato come potesse una persona attuare un piano simile e la prima parola che mi è venuta in mente è stata ‘vegeto’… da quello è nato poi il romanzo.”

Fin dal titolo “Io non sono come voi” spiega il desiderio di non assomigliare a chi si ha intorno, questo aspetto forse risulta alquanto anacronistico dal momento che “omologarsi” agli altri sembra prerogativa comune…

“È una considerazione più che un desiderio. Il protagonista prova una consapevolezza diversa verso gli altri, la Totaldemocrazia, la legge che vige a quel tempo, si basa sulla mediocrità, su quelle persone che permettono il disfacimento della società perché non hanno più un senso critico, come avviene ai giorni nostri dove vi è mancanza di reazione. L’incapacità da parte del popolo di dissentire dal potere.”

Secondo te, dunque, la società è divisa tra chi ha il potere e chi non ce l’ha?

“La società semplicemente non vuole più essere società perché ognuno pensa solo a se stesso. Esistono solo rapporti di convenienza.”

Tutti allora dentro hanno un lato oscuro e possono commettere degli omicidi?

“Tutti non lo so… sicuramente molti, nel momento in cui vengono a mancare certe cose. Nei Balcani abbiamo visto cose che si vedevano nella Germania nazista, basta una minoranza per arrivare a uno stato di caos.”

Credi che la società di cui racconti sia il risultato di una società che non ha più voglia di mettersi in gioco?

“Il protagonista si salva grazie a quelle poche persone che lui stima e con cui ha un rapporto autentico e che all’inizio fatica ad accettare, ma in effetti il suo pensiero non collima con quello del resto delle persone assoggettate dal potere.”

Jules Verne è stato precursore dei tempi, credi che anche il futuro descritto nel tuo libro si realizzerà?

“Spero di no… lo scrittore deve mettere in guardia più che prevedere. Verne vedeva il futuro con ottimismo. Ai tempi ci si chiedeva cosa sarebbe successo nel 2000. C’era questa grande fascinazione per il presente di oggi, si parlava di cervelli elettronici, poi ti rendi conto che sono solo computer e il fascino si spezza. Un tempo c’erano stimoli, si è passati dai carretti trainati dai muli ai viaggi spaziali. Il cambiamento che abbiamo visto noi è stato solo quello della tv che in bianco e nero è diventata a colori. Da piccolo sentivo parlare che ci sarebbe stata l’energia pulita, oggi si continua a dirlo ma non è ancora successo.”

In genere lo scrittore ha la facoltà di stimolare la riflessione e di indurre una soluzione, tu invece sembri suggerire che per cambiare il sistema si debba diventare peggiori di chi si ha intorno… giustifichi il fatto che da vittima si diventa carnefici?

“Non lo giustifico, ma è il proprio lato oscuro che uno esorcizza scrivendo. Il protagonista perde le remore ma sa che è una sovversione destinata al fallimento, non è una rivoluzione. Si fa assorbire dal sistema ma cerca di portare avanti la sua lotta.”

Quando la follia, per rifarci alla nostra rubrica, è iniziata a diventare ordinaria, ovvero quando la violenza ha iniziato ad affascinare, spingendo gli addetti ai lavori a intrattenere il pubblico attraverso la violenza che scaturisce da film, dai viodegiochi?

“C’è sempre stato fascino nella violenza, forse abbiamo perso un po’ di pudore rispetto a un tempo. Il cinema non mostrava troppo splatter ma si usciva da un periodo di guerra e non si aveva voglia di vederla anche sullo schermo. Oggi viviamo da tanto nella pace, almeno qui da noi… ma non penso che i videogiochi inducano alla violenza. C’è sempre stata, forse oggi c’è solo più morbosità e i mezzi di comunicazione ci permettono di venirne a conoscenza più facilmente.”

Hai descritto una società futurista negativa, perché secondo te questa è l’immagine che ricorre sia in narrativa che su pellicola?

“Volevo raccontare una storia che potesse interessare, la visione di un mondo che potrebbe essere migliore… ma fatica ad esserlo.”

Voltaire ne ‘L’ingenuo’ dichiarava: La storia non è che un quadro di delitti e sventure. Sei d’accordo?

“È un sentire comune ma viviamo in una generazione in cui le cose peggiorano. Dagli anni ’80 a parte internet c’è stato uno spegnimento delle speranze sociali. Un tempo ci si alimentava di utopie ma servivano. Oggi non abbiamo più neanche quelle.”

La crisi di oggi tende a creare un futuro incerto in cui abuso di potere e censura diventano l’ordinario?

“Ci sono anche miglioramenti e progresso, anche se questo non coincide con lo sviluppo. A me sembra che siamo in crisi dagli anni ’80. Gli anni ’70 per me sono stati una Supernova. Il culmine della speranza è stato nel luglio del ’69 con il primo uomo sulla luna. Poi è avvenuto un lento tornare indietro.”