Come ci ero finito in quello scantinato, legato per bene mani e piedi, a smaltire i postumi di una sbornia colossale e a rimuginare sui miei errori? Non che gli errori mi avessero mai insegnato qualcosa, coi guai ci ero sposato e se non ero io a cercare loro prima o poi erano loro a cercare me. Era sempre stato così, ogni volta che mi ero riempito di debiti, quando nell’estate del ’52 avevo sfasciato l’auto e la gamba giocandomi la carriera di pitcher, quando avevo detto di no a un lavoro che mi avrebbe risolto tutti problemi fino alla fine dei miei giorni ma mi avrebbe consegnato un capo e una catena, quando mi ero portato a letto Laura, la moglie di Jimmy O’Brian, il mio miglior amico. Non mi interessava Laura come non mi interessavano le altre donne, ma se non potevo avere Jimmy volevo cavarmi il gusto di prendermi la sua donna. Naturalmente questo l’ho capito solo dopo. Ci sono voluti anni per rendermi conto che ero vittima di quell’attrazione che Padre O’Donnell avrebbe definito malsana. Me ne sono accorto solo quando Danny è entrato nella mia vita con lo stesso impeto con cui batteva un home run. Per uno scout è sempre un brivido riconoscere un battitore che ha la stoffa del campione, ma il brivido l’ho provato anche dopo, quando Danny mi si è presentato sotto la doccia col suo sorriso spavaldo a cui non ho risposto per seguire le gocce che si rincorrevano lungo la sua pelle abbronzata, giù per le sue cosce scolpite come quelle di una statua greca. Ed è proprio qui che incominciano i guai di cui vi sto per raccontare.

Gli spiegai che intendevo portarlo in città per un provino, viaggio spesato, e se tutto andava bene avrebbe giocato in prima squadra, poi andammo a festeggiare. Lui, da bravo atleta, non toccò alcol, io lo toccai anche per lui. Un altro dei miei guai, quello che più mi piaceva. Ero solito dire che, dopo l’incidente, avevo riscoperto “lo spirito d’Irlanda” e chi mi ascoltava, per compiacenza, rideva alla mia battuta. La ripetei anche stavolta, il ragazzo diventava più bello quando rideva e mi piaceva vederlo illuminarsi.

Fu quando nel parcheggio vidi che non era più alle mie spalle e tornai indietro a cercarlo che il colpo fu assestato. Danny era là, sul retro del locale, immobile da assomigliare ancora di più a una statua e con lo sguardo perso nel vuoto. In mano teneva una pistola e ai suoi piedi c’era un cadavere.

Mi accostai a lui e lentamente scivolò tra le mie braccia. Lo sentii tremare contro il mio corpo. I suoi capelli odoravano di pulito, facevano pensare alle distese di grano, era come stringere tra le braccia un bambino. Ma non era un bambino quello che stringevo contro di me, a giudicare dall’erezione che mi stava crescendo dentro i pantaloni perfino in un momento così drammatico, o forse era proprio la tensione ad eccitarmi. “Va tutto bene, va tutto bene – sussurrai tra quei capelli che mi inebriavano più di qualunque profumo – ci sono qua io, penso a tutto io”.

Pensai a tutto. Pulii l’arma dalle impronte e mi fermai sul ponte per gettarla nel fiume, poi tornai a guidare in direzione del motel. Danny non diceva una parola. “Chi era quell’uomo? – provai a chiedergli – Perché l’hai ucciso? Ti aveva aggredito? Ti aveva molestato?” La voce mi si incagliò sull’ultima parola. “Non l’ho ucciso. Ho solo raccolto la pistola”. Un altro al mio posto avrebbe pensato che aveva a che fare con un idiota. Un assassino ha sempre qualcosa di romantico, un idiota no. Ma in me era scattata invece la sindrome del salvatore.

Rimasi tutta notte sulla poltrona a guardarlo mentre si agitava e gemeva nel sonno. Era ancora più bello di quando rideva. Al mattino avevo pronto il mio discorsetto “Nessuno dovrebbe cercarti, la pistola è in fondo al fiume. Ma è meglio che vieni via con me e cambi aria. Prima però devi tranquillizzare i tuoi”. “Non serve. Mia madre se ne è andata in California 12 anni fa per farsi investire da un autobus e mio padre è via con la testa, non si ricorda neanche il suo nome. Meglio così. Non saprà mai la notizia”. “Quale notizia? Ti ho detto che sei al sicuro.” “L’uomo. L’uomo che è morto. Era mio fratello”.