«Tutto il movimento non aveva mai pensato di vincere una guerra. Solo di incominciarla» ammette Cathal Goulding, che nel 1962 fu nominato capo di stato maggiore dell’IRA. Il marchio di fabbrica dell’irredentismo irlandese è infatti uno spirito rivoluzionario animato più da improvvisazioni e momenti umorali che da un progetto politico a lunga scadenza. Le posizioni del protestanti e dei cattolici dell’Ulster sono del tutto inconciliabili. Di più, all’interno della stessa area repubblicana, convivono scuole di pensiero molto differenti. In molte oc­casioni anzi, l’IRA ha subìto gli attacchi del Sinn Feinn, il partito ufficiale dell’irredentismo.

Comunque, nel corso di questo secolo, moderati ed estremisti si sono trovati d’accordo sul motto: guai per l’Inghilterra, opportunità per l’Irlanda. E per ben due volte la Mainland, nome dato dagli irlandesi all’isola britannica, ha dovuto affrontare una temibile potenza avversaria, la Germania. Così, sia du­rante la Prima che la Seconda guerra mondiale, l’IRA si è trovata a elaborare piani con i nemici degli inglesi.

           

Nel 1915 vi furono contatti con i tedeschi negli Stati Uniti. L’approccio fu effettuato dall’organizzazione patriottica Clann na Gael. Sir Roger Casement, un irlandese della contea di Antrim insignito del cavalierato per servizi consolari presso il governo britannico, fu delegato a re­carsi in Germania per trattare una fornitura di armi. In cambio, avrebbe do­vuto convincere gli irlandesi prigionieri di guerra a formare una brigata di rinnegati per combattere i loro precedenti compagni d’armi nelle file anglo-francesi.

Era il momento del grande orrore sul fronte occidentale. Tra la prima e la seconda battaglia del saliente di Ypres, i soli inglesi persero, fra morti, feriti e dispersi, 381.982 uomini. L’intera “generazione dorata” che avrebbe dovuto fornire a Sua Maestà la nuova classe dirigente e che al contrario si dissolse nell’incubo dell’attacco tedesco col gas. Fra l’altro, era in campo anche un giovane por­taordini, Adolf Hitler, che scrisse: «Mentre la morte avanzava nelle nostre file, quella canzone ci raggiunse e noi passammo parola: Deutschland, Deutschland uber alles

Patrick Pearse
Patrick Pearse
Patrick Pearse, l’uomo che doveva guidare l’assalto all’ufficio po­stale di Dublino durante la sollevazione di Pasqua del 1916, os­servò che sul fronte occidentale: «Il vecchio cuore della terra ha bisogno di es­sere scaldato dal rosso vino dei campi di battaglia.» Agghiacciante poesia del cinismo che è una misura dell’odio irlandese: il sangue versato era britannico.

L’atteggiamento anti-inglese durante le due guerra mondiale doveva costare all’Irlanda parte della simpatia americana. Gli Stati Uniti, pur da ex coloni affrancati di Sua Maestà, intervennero in entrambi i casi al fianco della loro antica patria.

Dal canto suo, Sir Roger Casement portò a buon fine i contatti con i tede­schi. Ma la nave tedesca che trasportava le armi venne intercettata e il patriota imprigionato.

            

Dopo la sua ascesa al potere, Hitler mostrò scarso interesse per la questione irlandese, coerente con i suoi intenti di non interferire all’interno della sfera di influenza britannica. Ma con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il so­gno del Führer di un alleanza anglo-tedesca fu infranto. Guai per l’Inghilterra, opportunità dell’Irlanda. Nonostante l’attitudine dichiaratamente anti-fascista dell’IRA, due suoi esponenti, Sean Russell e Frank Ryan, si trovarono a giocare un ruolo essenziale in un piano rocambolesco, di quelli che poi forniscono ottime trame per i romanzi di spionaggio. Allo scoppio delle ostilità, Russell si era rifugiato in America dopo il fallimento di una campagna di attentati in Gran Bretagna. Arrestato per misura precauzionale in occasione della visita di Giorgio VI negli Stati Uniti, venne estradato. Ma le restrizioni di guerra non gli consentivano di tornare in Irlanda. Russell si rivolse allora ai tedeschi, che lo inviarono in Germania. Qui incontrò Frank Ryan, che aveva combattuto in Spagna nella brigata Lincoln Washington. I due irlandesi incontrarono il mi­nistro degli esteri nazista Joachim von Ribbentrop e l’ammiraglio Canaris, capo dell’Abwehr, il potente servizio segreto militare del Terzo Reich. Fu de­ciso di mettere a disposizione dei due uno degli U‑boote, i sottomarini tede­schi, da potere essere utilizzato per qualsiasi azione ritenessero utile agli inte­ressi irlandesi. Fu chiamata in codice “operazione Colomba”. E fu l’ennesimo disastro. A cento miglia dalle coste natie, Russell ebbe un attacco di ulcera per­forata e morì. Il sottomarino tedesco tornò in patria. Ryan trascorse il resto della guerra in Germania, dove si spense nel giugno 1944 accompagnato da cattiva fama. Altrettanto fallimentari furono i tentativi tedeschi di impiantare una rete di spie in Irlanda.

Gerald Boland
Gerald Boland
Sul versante opposto, si è scritto molto sui presunti collegamenti fra il terrorismo irlandese e Mosca. La realtà è esattamente opposta. Le matrici cattoli­che del movimento erano del tutto inconciliabili con il socialismo reale. Nel 1925 una delegazione dell’IRA si recò a Mosca per chiedere aiuti a Stalin. Il dittatore, secondo uno degli irlandesi presenti, Gerald Boland, avrebbe domandato: «Quanti preti avete impiccato?» «Nessuno» fu la risposta. E Stalin: «Allora voialtri non siete affatto seri.» Probabilmente un aneddoto, più che una ricostruzione storica. Ma di certo c’è che i russi hanno sempre diffidato dell’irredentismo irlandese, considerandolo più che altro una sottospecie tutt’altro che affidabile di mentalità britannica.

Né, in anni più recenti, vi sono state affinità fra l’IRA e gli altri movimenti terroristici di estrema sinistra. Gli irlandesi consideravano nichilisti borghesi i militanti della banda Baader-Meinhof, della Rote Armee Fraktion e delle Brigate Rosse. Sono invece assodati i legami con l’ETA basca, alimentati anche da un curioso progetto politico. Uno degli esponenti dell’IRA, Ruairi O’Bradaigh ha vagheggiato di una Federazione Celtica, comprendente irlan­desi, gallesi, scozzesi, bretoni (francesi della Bretagna) e abitanti di una libera Euskadi (la terra basca). Il riscontro di quest’intesa, sono gli attentati che re­cano la doppia firma dell’IRA e dell’ETA.

Fumosi i rapporti con i palestinesi. Al di là di comuni sessioni di addestramento in tecniche di guerriglia e terrorismo, fra i due gruppi resta un’incomprensione di fondo. Le ragioni degli uni non sono del tutto chiare agli altri. Soprattutto perché ancora una volta emerge la confusione ideologica dell’IRA. Al suo interno c’è chi si ricollega alle lotte di liberazione del Terzo Mondo e chi invece radicalizza un bagaglio di pensiero che affonda le sue ra­dici nelle lotte per la Magna Charta.

             

Sul piano operativo, uno sponsor efficace dell’IRA è stato il colonnello Gheddafi. Dopo il suo colpo di stato incruento del 1969, appuntò le simpatie su tutti i movimenti da lui ritenuti “anti-imperialisti”. Un primo segnale delle sue inclinazioni verso l’IRA venne nel marzo 1973. Nella Baia di Waterford, la marina irlandese intercettò il cargo Claudia, battente bandiera della Germania Federale, con a bordo cinque tonnellate di armi imbarcate a Tripoli e destinate all’Ulster. Qualcosa cambiò tuttavia quando a cercare contatti con Gheddafi fu­rono un giornalista del nord, Patrick Turley, e un rispettabile affarista di Dublino, Walter Hegarty. Secondo loro, la chiave di svolta per l’intera isola era un accelerato sviluppo economico. I libici potevano essere utili non per forniture di armi ma per lo sfruttamento delle riserve di petrolio al largo delle coste irlandesi. Contemporaneamente, si trovarono a Tripoli due delegazioni, una moderata e una dell’IRA. Fu sufficiente perché Gheddafi capisse la com­plessità della situazione in Irlanda e prendesse le distanze dal terrorismo iso­lano. Salvo poi riavvicinarlo dopo il bombardamento americano del 1986.

In almeno un’occasione, alla metà degli anni ‘70, i servizi d’informazione riportarono che una delegazione dell’IRA aveva incontrato funzionari del governo comunista cinese.

       

Questo sommario di “politica estera” dell’irredentismo irlandese mostra come quasi tutto si sia svolto all’insegna di fumose necessità di azione. In altre parole, troppo spesso ci si è limitati a chiedere fondi e armi per una guerra di liberazione che in realtà era tutt’altro che facile da comprendere.

Per farlo occorrerà dunque spostarsi direttamente nel cuore del problema: l’Ulster, una nazione devastata dalla violenza. Un Medio Oriente occidentale, con panorami che ricordano più Beirut che l’olografia anglosassone.

            

(Continua)