«Io parlo di Napoli perché è la città che conosco meglio. Una città stratificata, che più che essere una città è una condizione, che tende a prendere spazio, non rassegnandosi ad essere solo sfondo delle storie e delle vite che la vivono. Una città, però, dove come nelle altre metropoli impera la solitudine; una solitudine che nasconde il male e lo rende possibile. A me non interessa tanto cercare di capire chi è il colpevole delle mie storie, quanto il capire perché lo fa, quali sono le ragioni che lo fanno agire in quel modo. Capire le origini del male».

 

Sono le parole dell'autore vincitore del Premio Scerbanenco 2012 alla presentazione del libro.

 

La Giuria del Premio Giorgio Scerbanenco – La Stampa composta da: Cecilia Scerbanenco (Presidente), Valerio Calzolaio, Luca Crovi, Loredana Lipperini, Cesare Martinetti, Sergio Pent, Sebastiano Triulzi, John Vignola e Lia Volpatti ha assegnato il Premio dell’edizione 2012 a Il metodo del coccodrillo di Maurizio De Giovanni (edito da Mondadori) con la seguente motivazione:

«Per aver saputo coniugare il senso di appartenenza al romanzo nero napoletano con la creazione di personaggi complessi pur nella loro riconoscibile quotidianità. La conferma di una brillante voce letteraria».

 

La Giuria ha inoltre deciso di assegnare una Menzione Speciale a Il male quotidiano di Massimo Gardella (edito da Guanda) con la seguente motivazione:

«Per aver rappresentato con efficacia un mondo disperato e criminale in cui l’Italia si incrocia con l’Europa di oggi, attraverso lo sguardo già disilluso di un poliziotto figlio di migranti».

  

Maurizio De Giovanni, scrittore napoletano, con Il metodo del coccodrillo ha abbandonato le atmosfere degli anni Trenta che vedevano protagonista il Commissario Ricciardi, per abbracciare l’ispettore Lojacono, sempre a Napoli ma nei giorni nostri, alle prese con un criminale che uccide giovani, lasciando, come firma, un fazzoletto umido di lacrime.

L’ispettore Lojacono, comunque, non rimpiazzerà lo storico commissario Ricciardi, del quale è uscita adesso una nuova storia, Vipera, anche se probabilmente avrà un seguito: «Mi interessa non tanto raccontare Lojacono, quanto lo spazio nel quale si muove e, probabilmente, proseguirò a raccontare una squadra di personaggi, dei quali Lojacono è solo uno dei tanti protagonisti».

In luoghi completamente diversi, tra Pavia e Milano, si muove invece l’ispettore Remo Jacobi, rumeno, frutto della penna di Massimo Gardella che, con il suo Il male quotidiano, ha conseguito la menzione speciale. Jacobi è ispettore per caso, pessimo poliziotto, uomo di cinquanta anni deluso dalla vita, e giunto in Italia assieme al padre nei tempi in cui la Romania era ancora un paese dell’asse sovietico. Vive con il padre in una cascina in perenne ristrutturazione, e porta con sé i segni di un vecchio dolore: «Il mio ispettore è un uomo debole - dice Gardella - che non ha superato i suoi demoni».

Protagonista del romanzo è un esemplare enorme di pesce siluro, un pesce cloaca, che mangia tutto quello che incontra, importato nei fiumi perché perfetto per la pesca sportiva, ma causa di una sorta di mutazione ambientale della fauna dei nostri fiumi. «Un pesce stupido, che non ha l’intelligenza dello Squalo di Spielberg, e la cui carne adesso la si trova anche in alcuni mercati rionali». Il male quotidiano è la prima parte di una trilogia. Il secondo libro è previsto per la fine di agosto.

Una cinquina, quella dello Scerbanenco di quest’anno, dove come ha sottolineato più volte la giuria, la scelta è stata molto difficile, data la qualità dei lavori che concorrevano: i due premiati, ma anche Massimo Carlotto con Respiro Corto in cui l'autore, dopo averci raccontato come nessun altro i misfatti del Nordest italiano, e averci appassionato con le indagini dell'Alligatore, ha deciso di allargare lo sguardo, e andare al cuore del crimine dei nostri tempi, globale e senza frontiere. Con i pregi che l'hanno fatto amare da tanti lettori: lo stile essenziale, la perfetta padronanza dell'intreccio, i personaggi che nella loro amoralità e crudeltà riescono ad affascinare, perché li sentiamo veri, umani nella loro disumanità. O nelle loro ossessioni, come la straordinaria coppia della poliziotta B.B. e del boss Grisoni, unici a contrastare l'avvento della Dromos Gang.

 

E ancora, L’uomo nero di Luca Poldelmengo: «Io sono nato sceneggiatore - dice l’autore - e non mi piace avere nei miei racconti un unico punto di vista. Evito sempre il protagonista unico, a me interessa la dialettica e il confronto tra le storie e i personaggi. E nel libro racconto di persone comuni, che però vivono in una situazione di precarietà (economica, affettiva, di valori), precarietà che però permette al loro lato oscuro di prendere il comando».

Spunto del suo libro un fatto di cronaca avvenuto a Roma qualche anno fa: la morte di due ragazzi, Alessio e Flaminia, a bordo di uno scooter, investiti sulla Nomentana da un’auto pirata guidata da un uomo a cui era già stata tolta la patente per essere stato trovato al volante in stato di ubriachezza. «I due ragazzi non li conoscevo, ma questa storia, lo svolgimento del processo e il suo epilogo, mi hanno lasciato una rabbia enorme. Grazie a questo romanzo sono riuscito, in parte, a dare sfogo alla mia frustrazione».

Chiude la cinquina Festa di piazza di Gian Mauro Costa (che si è autodefinito il Tabacci dei finalisti), seconda avventura dell’investigatore dilettante Enzo Baiamonte, personaggio indolente, ma al contempo curioso e vivace. Una storia, la sua, che ha sorprendentemente trovato numerosi riscontri nella cronaca degli ultimi mesi, dai cantanti neomelodici arrestati, agli scandali del calcio. «Racconto piccole storie, e attraverso queste piccole storie racconto la mafia, la sua cultura e i suoi sentimenti. Ma il mio non è un libro sulla mafia. È un libro su Enzo Baiamonte, sui suoi amici, il suo quartiere e su Palermo, città ossimoro, guardata con grande amore, nei suoi contrasti, e nella sua relazione, tutta particolare, con la morte».