Primo capitolo in anteprima del romanzo Il delitto di via Brera. Milano, 1952 (2012), edito da Fratelli Frilli Editori (www.frillieditori.com).

A mia moglie,

senza il cui supporto

questo libro,

come i precedenti,

non sarebbe stato scritto.

1.

Mariangela Marangon era proprio una gran bella ragazza. Pensate a un viso dall’ovale perfetto, illuminato da stupendi occhi nocciola da cerbiatto, incorniciato da lunghi, setosi capelli biondo cenere. E, sotto un bel naso dal profilo greco, il capolavoro di una bocca dalle labbra morbide e carnose, caratterizzate da un’imbronciatura naturale che le conferiva un’espressione al contempo capricciosa e sensuale. Alla Brigitte Bardot, per intenderci. A completare l’opera, un fisico mozzafiato: un metro e settanta di altezza e una serie di curve messe nei punti giusti, che provocavano più di un torcicollo al pubblico maschile quando la ragazza passeggiava per le strade di Milano.

Alle otto e un quarto di una calda mattina del luglio 1952, Mariangela procedeva con passo svelto ed elastico lungo via Brera, diretta verso il suo posto di lavoro, lo studio pubblicitario “Le Idee”, situato in un signorile palazzo della stessa via, circa a metà strada fra piazza della Scala e la sede del “Corriere della Sera” in via Solferino, nel bel mezzo del quartiere artistico e intellettuale milanese.

Uno studio pubblicitario, all’epoca, era solo un lontanissimo parente delle rutilanti agenzie che, a partire dalla fine degli anni ’60, soprattutto grazie all’arrivo delle multinazionali americane, avrebbero caratterizzato il panorama della comunicazione commerciale in Italia. La televisione non era ancora nata, e gli sforzi dei creativi si concentravano soprattutto su manifesti, stampa e radio.

La star dell’epoca era il barese Gino Boccasile, morto nel maggio del ’52 a poco più di cinquant’anni. Un artista dalle grandi capacità creative, che negli anni Trenta aveva ideato le copertine della rivista “Signorine Grandi Firme”, inventando e imponendo il modello ideale della donna dell’era fascista: mediterranea, procace e sensuale. Lo stesso tipo di donna che Boccasile propose, nel dopoguerra, in famose campagne pubblicitarie per i prodotti più disparati: calze, motociclette, formaggini, dentifrici, talchi e profumi. Fece scandalo, e fu infatti censurato, il suo manifesto per i cosmetici Paglieri, dove, accanto all’innocente scritta “Dai fiori, ciprie e profumi Paglieri”, appariva il disegno di una giovane donna a seno nudo.

Le immagini a disegno, soprattutto se femminili, in pubblicità erano molto più utilizzate delle foto, in quanto meno passibili di interventi da parte della censura. Nell’Italia bacchettona e clericale di allora, la rappresentazione grafica di un corpo femminile, anche se proposto in atteggiamenti vagamente provocanti, era considerata meno peccaminosa di quella di una donna fotografata in carne e ossa.

Mariangela, pur lavorando nel settore, non era né una grafica né tanto meno un’artista. Il suo compito era quello di tenere i rapporti con i responsabili delle aziende che si affidavano allo studio per la pubblicità dei loro prodotti o servizi. Ci riusciva benissimo perché, oltre che bella, era dotata di una notevole intelligenza e di un formidabile intuito che le consentivano di capire al volo le esigenze dei clienti e di tradurle poi nelle risposte professionali più efficaci, sopperendo brillantemente alla mancanza di quel supporto culturale che solo un’educazione scolastica più completa avrebbe potuto darle.

Figlia di genitori immigrati da un paesino della provincia di Vicenza, lui muratore spesso disoccupato e lei donna di servizio, Mariangela era cresciuta in due locali di una casa popolare di via San Mamete, a Crescenzago, rione nella zona nord della città. Rivelandosi, fin da piccola, una sorprendente miscela di bellezza, intelligenza e vivacità.

La vita scolastica aveva confermato sul campo le qualità della bambina, con promozioni a pieni voti sia alle Elementari sia alle successive Commerciali.

Visti i brillanti risultati, i genitori di Mariangela, per quanto quasi analfabeti, capirono, anche grazie alle insistenze di un’insegnante, che la ragazzina doveva continuare a studiare. Rinunciarono così al pur modesto contributo che, lavorando, Mariangela avrebbe potuto dare al magro bilancio familiare e la iscrissero al corso biennale per il diploma di computista commerciale, che la ragazza conseguì con i migliori voti della classe, acquisendo un bagaglio di conoscenze che andava da più approfondite nozioni di contabilità a una maggior padronanza della lingua francese.