«“La sola conoscenza assoluta raggiungibile dall’uomo è che la vita è priva di significato”: Tolstoj. Milioni di libri su ogni possibile argomento scritti da tutti questi cervelloni, e nessuno di loro ne sa niente più di me sulle grandi questioni della vita. Ho letto Socrate. Sapete? Schiappettava i ragazzini greci: che diavolo ha da insegnare a me? E Nietzsche, con la sua teoria dell’eterno ritorno. Diceva che la vita che noi viviamo la vivremo ancora, ancora e ancora, esattamente nello stesso modo per l’eternità. Splendido. Questo significa che io dovrò vedere ancora Holiday On Ice. Non vale la pena».

È con questo storico testo di Hannah e le sue sorelle (1986) di Woody Allen che ronza nella testa che si legge - tutto d'un fiato - il romanzo-inchiesta di Errico Buonanno. L’eternità stanca era nato come saggio, ma all’autore è stato impossibile frenarsi e così, contro ogni sua intenzione, ne è uscito un romanzo che travalica ogni confine ed aspira all’eternità.

   

Roma, Caput Mundi, la Città Eterna: tanti gli epiteti che si è guadagnata la storica capitale italiana, ma ora grazie a Buonanno scopriamo risvolti poco noti che interessano aspetti religiosi davvero diversi dal solito.

Quando si parla di religione a Roma è ovvio che il pensiero finisca lì, al Vaticano. Ma quello è uno Stato a sé, non fa parte della città, che infatti ha un substrato religioso molto più ricco e variegato di quanto si possa credere. L’autore - in uno squisito gioco di verità-finzione - si cala in prima persona nello spirito di un’anima in pena, di chi cioè sta cercando risposte concrete a domande eterne e che non trovi soddisfacenti le “solite” risposte della “solita” religione.

L’io narrante - che forse è lo stesso Buonanno e forse no - reagisce ad una crisi mistica recandosi, con cuore aperto ed animo affranto, alle sedi di dieci istituti religiosi romani che probabilmente neanche gli stessi cittadini conoscono. Non sono religione pubblicizzate, non se ne parla su giornali o in TV, eppure alcune vengono da molto lontano e i loro fedeli non sono per nulla inferiori a qualsiasi altro fedele di religione più “celebre”.

   

Dagli Hare Krishna agli sciamani, da Rael a Mitra fino ai più inguaribili atei: l’autore si fa «pellegrino ipocondriaco» fra culti e funzioni, fra religioni moderne e riti antichi. È però un pellegrino tutt’altro che “cherubinico” (come quello del seicentesco Angelus Silesius): attraverso dubbi e dolori, domande profonde e risposte imbarazzanti, riesce sempre a mantenere l’occhio vigile e critico dello spirito indomito, e soprattutto il gusto per un umorismo all’apparenza involontario.

L’io narrante è un Candido voltairiano che si aggira per il mondo e vive le avventure più incredibili, e tutti continuano a ripetergli che quello è il migliore dei mondi possibili. Ma mentre l’opera di Voltaire era costruita intorno alla distruzione di un concetto, l’opera di Buonanno nasce dalla distruzione per arrivare alla costruzione di un’idea... che non sveliamo perché ogni lettore deve arrivarci in un processo di catarsi. Non c’è niente di più soddisfacente di scoprire per la prima volta qualcosa che già di sapeva...

  

L’eternità stanca è un saggio, un romanzo e un’inchiesta; è un’indagine e un’analisi; è fiction che testimonia la realtà e viceversa. Da un autore capace di manipolare l’intera letteratura umana (come ne L’accademia Pessoa) non ci si poteva aspettare altro che un viaggio frizzante, ipocondriaco e poco cherubinico attraverso le “nuove religioni”, che in realtà non fanno altro che rispondere al bisogno umano più antico: risposte affascinanti a domande difficili.