Perché in Italia la spy story a fumetti non va? Non vorrei che fosse una variante del classico “in Italia non si possono ambientare storie thriller”.

Di fatto più di venticinque anni fa mi presentai a una ONNIPOTENTE casa editrice milanese con un soggetto spionistico avventuroso. Il direttore editoriale mi disse che era roba da “Monello” (sottolineando un certo disprezzo per quella testata) e che riuniva in sé due delle cose che al pubblico italiano piacciono di meno. Una storia di spie e di mafia. Mah. Io per mio carattere non amo troppo chi cerca di scoraggiarti e continuai a lavorarci.

Nel 1993 la storia uscì in forma di romanzo negli Oscar Mondadori con il titolo Pista cieca e fu ripubblicata nel 1998 da Segretissimo presenta. Ancora oggi lo ritengo uno dei miei romanzi migliori. Complesso, articolato era un primo tentativo di mescolare azione avventurosa, la storia della mafia corsa e la spy story. Anche se era ambientata negli anni ’80 (nel ’90 nella versione romanzata) ossia prima della caduta dei blocchi, il plot reggeva ancora. Forse proprio perché c’erano quegli elementi che piacevano al pubblico. Sicuramente la versione a fumetti avrebbe dovuto essere semplificata.

Anche Il Professionista era stato in origine un progetto per un fumetto.

              

Se ben ci guardiamo in realtà la produzione nostrana (se vogliamo escludere lo Sconosciuto almeno in parte) ha raramente proposto storie di spionaggio. Eppure da almeno vent’anni, se non di più, leggo fumetti della scuola franco-belga dedicati allo spionaggio.

Tralasciamo di parlare di XIII per ora perché, come sapete, il lavoro di Jan van Hamme per me è di grandissima ispirazione e mi risulta che anche in Italia un certo successo lo abbia sempre ottenuto. Ma ci sono decine di serie di spionaggio proposte con successo ogni anno.

I disegni, a volte, non sono granché e le storie sono molto complicate, per i nostri standard. Eppure vengono lette e apprezzate. Forse c’è una ragione che riguarda il tono delle vicende che spiega anche perché la stessa scarsa fortuna riscuotano le spy negli sceneggiati televisivi o in libreria (almeno quelle firmate da italiani).

              

La spy story porta con sé un carico di ambiguità nei personaggi, che si accompagna alla trasmissione di informazioni, che sono parte integrante del complotto, sia esso più o meno scandito dall’azione. Uno degli autori più attivi di questi anni è Jean-Claude Bartoll che firma un gran numero di serie, tutte piuttosto articolate e interessanti.

Insiders sembra quasi una versione di Nightshade di Andrea Carlo Cappi. Najah figlia di colombiani resta orfana in seguito a una guerra interna tra i cartelli. Si vendica pestando i piedi alla CIA oltre che ai sicarios, fugge, si rifà una vita. Finisce innamorata a combattere in Cecenia ma scopre di essere estranea al mondo islamista che la vede solo come una donna che non sa stare al suo posto.

Viene così reclutata e addestrata (anche con tecniche telepatiche) per entrare nel progetto Insiders. Agenti infiltrati in una complessa operazione di sfruttamento economico del petrolio in alcune regioni in guerra (qui l’enclave di Cabinda contesa tra Angola e Congo) da una multinazionale che riunisce al suo vertice potenti provenienti dal mondo dell’industria ma anche della criminalità e dei servizi segreti. Sposata la sua nuova causa, Najah sa di poter contare su un unico contatto nel governo americano. Un uomo che viene ucciso dai nemici del progetto Insiders all’interno degli USA.

Così Najah si ritrova ancora una volta sola contro tutti in uno scenario dove non manca l’azione ma al lettore è richiesta una certa attenzione per seguire le transazioni economiche di ripulitura dei capitali, quanto le manovre politiche per influenzare le varie fazioni in lotta.

Decisamente una storia da romanzo per complessità e lunghezza con molti dialoghi e passaggi intricati.

                   

Vagamente più semplice è la serie cominciata proprio in questi mesi e basata sul Mossad. I primi due volumi (di solito in Francia ogni singola avventura è divisa in due episodi che escono a distanza di circa un anno uno dall’altro) ci introducono in un ambiente strettamente legato all’attualità. Servizi israeliani ed hezbollah si fronteggiano tra Parigi e la Siria in un classico gioco di spie. Qui abbiamo un ex agente del Mossad divenuto professore universitario costretto a rientrare in gioco dal rapimento del figlio che, a sua insaputa, non solo è un agente di Tel Aviv ma viene rapito da una diabolica agente iraniana per ordire una macchinosa trappola.

Homs, il traffico d’armi, le riunioni economiche a Davos, insomma tutto un panorama che impone attenzione ma è anche estremamente soddisfacente per un lettore che ama il fumetto ma vuole storie adulte.

                 

In Italia sembra sempre che sia obbligatorio proporre storie edificanti con figure eroiche, malgrado qualche verniciatura di noir alla fine siano buone, facilmente identificabili come modelli di comportamento. Per bambini ma anche per quegli adulti che, si pensa a torto, siano restati bimbi nell’animo.

Io credo sia questo pregiudizio a conservare le barriere che ci impediscono di proporre a fumetti storie di spionaggio di successo e qualità. Sono convinto invece che il talento di chi narra e chi disegna nel nostro Paese non manchi. Anche in questa direzione. E, alla fine, neanche l’interesse del pubblico, se bene informato.

Mi risulta che alcune di queste serie (I.R.S., Lady S, Wayne Shelton, Alpha, Black Ops di cui parleremo più diffusamente nelle prossime puntate) trovino spazio anche in Italia su Skorpio e Lancio Story. Io per snobismo mio preferisco il formato album originale e, come succede per libri o film, tendenzialmente leggo l’edizione originale. Ma ciò non toglie che se questa produzione ha un effettivo riscontro in Italia si potrebbe seriamente pensare a un serial italiano.

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