Piacevole, ogni tanto, trovare la casa deserta. A parte i tappeti del bagno, quasi annodati dalla falcata di Guenda, il resto è abbastanza in ordine. Posso rilassarmi un po’, fare un caffè e poi leggermi qualche pagina di libro. In realtà ho una strana frenesia, dentro, sarà che non sono per niente abituata a vivere fra queste strane giornate. Fatico a star seduta, ho bisogno di muovermi, di impegnare il corpo e spegnere il cervello. Fa freddo, ma la giornata è bella, posso concedermi un’invernale pazzia. Un giro in bicicletta, è tanto che non lo faccio. È molto rilassante, una bella pedalata, magari ascoltando un po’ di musica. Tutto l’armamentario: casco, guanti, maglia, pantaloni, è sistemato in qualche scatolone nel garage. Vallo a trovare, adesso! Quel posto è il regno di Claudio, io non ci entro quasi mai. Mi basta il lavoro che ho in casa, è bene che almeno a quei sei metri quadri ci pensi lui.

Dentro c’è di tutto un po’, il classico luogo dove infili ogni cosa con il proposito di buttarla e poi non lo fai mai. Su uno scaffale, uno scatolone arancio attira la mia attenzione. Ecco dove ho messo il tutto, proprio lì dentro, ora ricordo bene. La scala è misteriosamente sparita, l’avrà prestata al vicino quando tinteggiava e, ovviamente, da lui è rimasta. Mi arrangio mettendo una cassetta sopra una sedia e ci salgo sopra. Guarda che disastro, su questi scaffali! Libri di scuola, quaderni, scatole di vestiti e pezzi di giocattoli sparsi ovunque. Ma quando si decide, Claudio, a fare un po’ di ordine? È incredibile, quell’uomo! L’unica cosa che sa tenere a posto è la sua scatola degli attrezzi. Quella è sempre lucida come un diamante, secondo me spolvera chiave per chiave. Ognuno ha le sue manie, c’è poco da fare. In alto, sull’ultimo piano, un piccolo angolino nero che sporge sotto una pila di giornali attira la mia attenzione. Mi allungo più che posso e lo afferro. Tirandolo verso di me, appare una bustina in pelle nera, lucidissima. Che strano, perché non è impolverata come tutto il resto? Soffro di vertigini da sempre, mi sta assalendo un attacco di nausea, con uno strattone riesco ad estrarla completamente, ma mi scivola dalle mani e cade a terra. Sbattendo sul cemento, dalla cerniera semiaperta, spunta un libercolo verde scuro. Ma cosa diavolo…

Ne ho visti parecchi, di questi libricini. Sono i passaporti dei cittadini rumeni, il simbolo sulla copertina non lascia dubbi. Cosa ci fa un passaporto rumeno, qui? Quando si apre nelle mie mani, mi sento svenire. Tampu Mihaela, nata a Bacau il…

Tutto è tremendamente confuso, le lettere si sfocano, il mio cuore sfonda la gola. Un attimo ed inizia a delinearsi un quadro che non mi piace per niente… No… Non può essere… No, Signore, dimmi che non è vero!

Nella foto, sul documento, Mihaela ha uno sguardo penetrante e quasi ironico, sembra mi stia ponendo una domanda… O forse mi sta dando una risposta? Rimango seduta per terra fino a che non sento nel cortile il rumore della macchina di Claudio. A pranzo lui viene sempre a mangiare a casa. Sento il suo passo sulla ghiaia, i soliti colpi di tosse. Mi cercherà in casa, poi verrà qua…

Dopo circa un quarto d’ora, la porta del garage fa da cornice alla sua figura smilza.

«Laura! Ma che ci fai a casa?».

Lo guardo per qualche minuto, prima che la voce esca dalle mie labbra secche e da una gola priva di saliva.

«Perché questo passaporto è nel nostro garage? Che storia mi devi raccontare, Claudio?».

Sbianca di colpo.

«Laura… Lascia che ti spieghi…».

«Come hai conosciuto Mihaela? Chi era per te?».

«Circa sei mesi fa, ero andato da tua madre per travasargli il vino. Mihaela era venuta da Gheorgheta. Hanno litigato e lei si era molto arrabbiata. Venendo via, le ho dato un passaggio e…».

«E…?».

Lo vedo afferrare il cric posato sul piano lavoro. Non mi sconvolge guardarlo, mentre lo stringe fra le mani e mi fissa con gli occhi cattivi. Quello che mi confonde è l’avergli dormito accanto per quasi vent’anni, l’aver generato tre figli con lui, l’averlo baciato ed amato…

Il maresciallo Di Capria lo afferra alle spalle, con rapidità e sorpresa lo costringe a lasciare la presa sull’attrezzo ed immediatamente si sente il rumore delle manette. Chiamarlo è stata la mia salvezza. Accettare la realtà senza negarla ha fatto sì che conservassi la lucidità di esporre le mie paure, di chiedere aiuto.

Claudio ha i lineamenti induriti dalla rabbia, sibila parole che si schiantano come fulmini sulla mia vita.

«Lei non mi voleva più… Stava dietro a quel deficiente del Feletti, quel mezzo uomo, pensa! Preferiva quell’idiota! “È buono, mi vuole bene veramente…”, diceva. Ma a me certi torti non si fanno. Voleva fare la puttana con me? Bene, da puttana è morta! Le ho tolto il fiato con queste mani», tendeva le dita tremanti verso di me, «l’ho spogliata e rivestita a dovere con queste mani, le vedi? Benedetta la nebbia di quel giorno, nessuno mi aveva visto. Ho sbagliato solo a lasciarla sulla strada del Poggione. Te l’avevo detto, quella sera: “Vieni via”! Ma tu no, sempre con quel naso lungo ficcato dappertutto, ti sei fermata ed hai tirato fuori tutto questo macello!».

Con uno strattone, il maresciallo lo trascina fuori e, insieme al Lojacono, lo fanno salire in macchina.

«Signora Dellera, quella donna era destino che la trovasse lei, altrimenti poteva accadere che non avremmo mai preso il colpevole e che lei dormisse per tutta la vita accanto ad un assassino…».

Nei suoi occhi, vedo la consapevolezza del mio dolore. Sono certa che la divisa gli stia stretta, in questo momento, stretta su di un cuore che, come quello di qualsiasi altro uomo, sbaglia i battiti ed accorcia il respiro. Non è facile, ogni giorno, avere a che fare con i dolori delle vittime e le urla dei carnefici. Non è facile guardare in faccia il mistero, metterlo a nudo, diradare le nebbie e trovarsi la realtà cruda e vera di fronte. Una realtà balorda ed infame, che getta un velo sul mondo. Non sarà facile nemmeno per lui, stasera, tornare a casa, baciare i suoi figli mentre dormono, mentre sull’anima pesa l’ennesima malvagità dell’uomo.

Faccio solo un cenno con la testa. Penso a quando arriveranno i ragazzi e dovrò spiegare tutto questo. Claudio, nell’automobile, ora nasconde il viso fra le mani.

Anch’io premo i palmi sul volto, li sento bagnarsi e tremare. Avrebbe usato veramente quel cric su di me? Guardo il cielo e penso che un segreto, mescolato nella nebbia di quella notte, ha cambiato per sempre la mia vita. In che modo, ancora non lo so.

Nata a Villafranca Piemonte il 1 luglio 1961 e residente a La Loggia (TO), Marinella Barbero è impiegata comunale, ma nel tempo libero ama scrivere e dipingere. Dal 2008 ha partecipato con successo a diversi concorsi letterari: dall’“Affetti Speciali” indetto dal Comune di San Gillio (TO) al “Le donne si raccontano” bandito dal Comune di La Loggia (TO), dal “Città di Carignano” allo “Italo Calvino” di Sanremo, fino al Premio Città di Acqui Terme, nel quale ha ricevuto una Menzione d’onore per la sezione riservata alla Poesia. Nel 2009 ho pubblicato il mio primo libro, una raccolta di sei racconti dal titolo La fantasia fa danzare (Carta e Penna, Torino).