Dossier Pinocchio

Stazione dei Reali Carabinieri di ***

Al Signor Capitano ***

Comando Reali Carabinieri di *** 

***, lì 14 aprile 18...

Oggetto: fermo di un sospettato

Num. Prot. ***

Signor Comandante,

porto a sua conoscenza quanto segue.

In data odierna, durante il mio consueto giro di perlustrazione in zona mercato, mi sono trovato in mezzo ad un assembramento sospetto. Ho tentato di sedare gli schiamazzi e le risa, credendo che si trattasse di un puledro che avesse levato la mano al padrone. Coll’animo risoluto a fermarlo e ad impedire il caso di maggiori disgrazie, mi sono piantato coraggiosamente a gambe larghe in mezzo alla strada.

La causa dell’assembramento, in realtà, era un fanciullo di aspetto strano che, vedutomi da lontano barricare la strada, s’ingegnò, per sorpresa, di passarmi frammezzo alle gambe. Fece fiasco. Senza punto smuovermi, lo acciuffai pulitamente per il naso (era un nasone spropositato, che pareva fatto apposta per essere acchiappato dai Carabinieri), e lo riconsegnai ad un certo Mastro Giuseppe detto Geppetto, in seguito qualificatosi come padre del ragazzo.

Detto Mastro Geppetto afferrò per la collottola il figlio, a nome Pinocchio, minacciandogli busse e altre consimili punizioni. Alcuni testimoni presenti al fatto hanno affermato Mastro Geppetto essere un omaccio, un vero tiranno con i ragazzi, nonostante l’apparenza mite, capacissimo di fare a pezzi il ragazzo.

Laonde, ho rimesso in libertà il ragazzo ed ho condotto in prigione il sopradetto Mastro Geppetto, il quale continua a piangere e a singhiozzare e, per difendersi, dice di aver penato tanto a fare un burattino per bene, che però gli ha fatto una cattiva riuscita.

Il fermato, evidentemente, dev’essere sottoposto a visita di offiziale medico onde accertare eventuale menomazione psichica o stato di ubriachezza patologica.

L’appuntato scelto dei Reali Carabinieri

Paolo Braschi

Il primo è stato Mastro Antonio.

Che poi, vatti a fidare di un testimone col naso tutto lustro, paonazzo come quello d’un ubriaco. Di uno che la gente chiama Mastro Ciliegia, dico io!

Il mio collega, invece, Rapetti Giulio, è stato ad ascoltarlo come se fosse un teste attendibile, una fonte sicura da metterci il pennacchio nel fuoco. Com’è finita? Siamo usciti dalla bottega con la testa confusa e la divisa tutta sporca di trucioli. Pure San Giuseppe era falegname, ma Dio bono, mica raccontava ai Reali Carabinieri che i ciocchi di legno parlano!

A sentir lui, non ha fatto altro che regalare a Mastro Giuseppe, detto Geppetto, un ciocco di legno per farne un burattino «…che sapesse ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Mastro Geppetto ci voleva girare il mondo, per buscarsi un tozzo di pane e un bicchiere di vino… Ma perché è in galera?».

«O che volete? È successo qualcosa al mi’ figliolo?».

Il padre, appena ci ha visto, s’è messo subito in allarme. Brutto segno. Vuol dire che c’ha il carbone bagnato, dico io. Un altro avrebbe detto: «O che volete?». Se invece ti vedi i Carabinieri alla porta e chiedi subito del tu’ figliolo, allora l’è proprio una birba, uno nato e cresciuto per la galera.

Il collega Rapetti no, dice che per un padre è naturale pensare subito che è successo qualcosa al figlio, quando si vede arrivare noi colla riga rossa ai pantaloni, le nappe, i pennacchi e tutto il resto.

Sia come sia, mastro Giuseppe inteso Geppetto s’è tutto agitato e, quando poi abbiamo ascoltato le testimonianze dei presenti al fatto e di Mastro Antonio detto Ciliegia, non s’è potuto far altro che arrestarlo.

Al collega Rapetti il detto Mastro Giuseppe nomato Geppetto ha fatto pure pena e sospetta che il figlio sia il vero farabutto. Forse non è nemmanco così, va’ a sapere. Sarà, ma io non mi fido di uno che sopra il fuoco tiene una pentola dipinta che bolle allegramente e manda nuvole di fumo.

Al Gran Teatro dei Burattini

«Ha marinato la scuola ed è venuto a vedere il mio spettacolo. Tutto qua».

A me questo burattinaio non mi convince. Barbaccia nera come uno scarabocchio d’inchiostro, tanto lunga che gli scende dal mento fino a terra e se la pesta coi piedi quando cammina. Bocca di forno, due lanterne di vetro rosso col lume dietro per occhi, frusta di serpenti e code di volpe attorcigliate insieme. La schiocca di continuo, mentre parla. Segno di nervosismo? Di reticenza? Per me, solo una gran rottura di…, con rispetto parlando, signor Comandante.

Rapetti s’è incantato a guardare le marionette. Ha perfino parlato – così m’ha detto e così le riferisco – con Pulcinella e con una certa signora Rosaura, che durante uno degli ultimi spettacoli hanno riconosciuto il ragazzo scomparso e gli hanno fatto delle gran feste.

«Appunto per questo mi sono un poco irritato», ha ammesso il suddetto burattinaio, a nome Mangiafuoco.

«Ha messo scompiglio nel mio teatro, perciò meritava una bella lezione… Per ischerzo, s’intende. All’inizio gli ho fatto credere che volevo buttarlo nel fuoco per dare una bella fiammata all’arrosto, ma poi m’ha fatto compassione. Gli ho dato cinque monete d’oro per ricomprare la giubba a suo padre, che se l’era venduta per comprargli l’abbecedario, e l’ho lasciato andar via. Non so altro. E adesso scusatemi, debbo lasciarvi. Lo spettacolo sta per iniziare».

Braschi e Rapetti a rapporto dal Comandante sul “caso Pinocchio”.

«Paternità? Maternità?».

«Madre ignota. Padre, Mastro Giuseppe detto Geppetto, soprannominato anche Polendina. Motivo per cui tra il suddetto e i ragazzacci di strada non corre buon sangue».

«Parentele? Amicizie?».

«Dalle ricerche effettuate risulta un’ascendenza da famiglia sospetta, presumibilmente di vagabondi. Pinocchio il padre, Pinocchia la madre, Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina».

Il Comandante scorse le pagine vergate dalla diligenza dei due sottoposti.

«Campo dei miracoli… monete d’oro… Gatto e Volpe… ohibò. Due truffatori matricolati, avanzi delle regie galere… Qui però si configura anche il reato di aggressione e tentato omicidio».

«Burattinicidio, se vogliamo essere precisi».

«Non mette conto. È sempre un tentativo d’omicidio».

«Però dal rapporto risulta che il suddetto burattino è stato arrestato da due gendarmi per ordine del Giudice e che è stato liberato solo grazie all’amnistia del giovane imperatore di Acchiappa-citrulli».

«La cosa allora cambia… Si configura forse il reato di complicità».

«Dall’interrogatorio ad un contadino, comunque, è venuto fuori un quadro differente: il burattino avrebbe sventato un furto aggravato e continuato di pollame…».

«Certo che il caso è controverso…».

Rumore sordo di passi.

Erano due carabinieri che si avvicinavano.

La mattinata era splendida: mare calmo e luminoso come un cristallo, sole splendente e un’arietta fina fina che accarezzava la rena del lido.

Unica nota stonata: un ragazzo, Eugenio, giaceva a terra dopo una rissa tra scolari. Pinocchio s’era lasciato convincere a marinare la lezione per vedere il Pesce-cane (ma era stata una scusa di quei perdigiorno dei compagni di scuola), ed era finita a botte e a lanci di libri.

Questo aveva cercato di spiegare ai carabinieri, ma era bastato leggere il nome di Pinocchio sul Trattato di Aritmetica rilegato in cartoncino grosso, con le punte e la costola di cartapecora – il corpo del reato, che aveva colpito il povero Eugenio alla tempia –, perché il burattino venisse arrestato senz’altro. Con la scusa di raccattare il berretto, però, Pinocchio se l’era filata e neanche il campione Alidoro, mastino che aveva vinto decine di corse contro i cani suoi colleghi, era riuscito ad acciuffarlo.

«I colleghi della costa per poco non lo beccavano… Ma è solo questione di tempo».

L’appuntato Braschi è rimasto della sua opinione: questo Pinocchio sarebbe un delinquentello della più bell’acqua. Ma avreste dovuto vederlo quando ha creduto morta detta Celeste o Azzurra, insomma Turchina. Fata, maga… forse un’imbonitrice, in ogni modo pulita. Amante dei bambini, benefattrice, niente da segnalare sul suo conto.

Insomma. Pianti, disperazione…

«Rapetti, non capisco perché ti ci stai rompendo la testa».

Quando il collega fa così, sono io a non capirlo. Lui non c’era quando ho trovato morto quel ragazzo, Lucignolo, ridotto in schiavitù da quel contadino. E il direttore di circo? Anche lui, uno sfruttatore della peggior specie. I ragazzi non si toccano. E Pinocchio è un ragazzo, non un ciuco da mettere alla cavezza, e men che meno un burattino nelle mani del primo che acchiappi i fili per farlo ballare.

Rapetti batté le campagne, rovistò la costa come se fosse un cassetto in disordine. Trovò un informatore, “detto Grillo parlante, un teste eccellente”, come scrisse poi in un rapporto che il Comandante, come si vedrà, decise di tenere segreto.

«L’avevo avvertito più volte che rischiava di fare una brutta fine, ma non mi ha dato ascolto».

La voce tremolava leggermente, mentre raccontava del tentato omicidio di Pinocchio ad opera degli assassini – poi identificati in Gatto e Volpe ed arrestati –, del miracoloso salvataggio del ragazzo avvenuto grazie alle premure della signora Turchina, che aveva convocato a sue spese i medici per aiutare lo sfortunato, sventato, incorreggibile ragazzo.

«Parlate con il Tonno, appuntato. Credo sia stato l’ultimo a vedere Pinocchio vivo. Che ve ne pare? L’unica volta che quel ragazzo ha pensato a ritrovare suo padre, si è perso in mare. Temo il peggio».

Rapetti già volava col pensiero verso la spiaggia in cui Pinocchio era stato avvistato da qualche pescatore. Meglio interrogare di nuovo i compagni di scuola, gli abitanti del villaggio…?

«Lasciatemi solo, appuntato».

Il Grillo era sconvolto al pensiero che Pinocchio fosse stato inghiottito dal Pesce-cane o da una balena.

«Avvertitemi subito, qualsiasi cosa accada. Ve ne prego».

«Novità?».

Rapetti spalanca la porta dell’ufficio del Comandante, che non si scompone nemmeno. Ormai ci è avvezzo, al carattere bizzoso e pieno d’impeto dell’appuntato Rapetti Giulio.

«Ho trovato il ragazzo».

“Ben vestito. Scolaro modello, ben pettinati i capelli castani. Affettuoso e pieno di premure nei confronti del padre. Pinocchio sarà un fanciullo educato e ubbidiente e un futuro cittadino onesto e ammodo, non v’è alcun dubbio…”.

Rapetti scrive tutto nel rapporto: come abbia soccorso e rifocillato Mastro Giuseppe detto Geppetto e il figlio Pinocchio, alla disperata ricerca l’uno dell’altro, fortunosamente ritrovatisi e scampati per soccorso divino dalla bocca del Pesce-cane. Come abbia trovato lavoro all’artigiano e sistemato padre e figlio in una casa confortevole. Come abbia iscritto Pinocchio a scuola.

Il Comandante legge, rilegge, sottolinea. Rimugina tra sé e sé sulle parole dell’appuntato Rapetti. Tonni, pesci-cane, grilli, lumache, gatti e volpi… fate turchine, ragazzi trasformati in ciuchini e ammazzati di fatiche e busse.

E un burattino fanciullo.

Lavoro ammirevole, certo, ma… meglio secretare il rapporto.

«Potete credermi o no, signor Lorenzini».

Il carabiniere finì il caffè, lasciò due monete sul tavolino e si toccò il berretto.

«Potreste tirarci fuori una storia delle vostre, se credete».

Carlo Lorenzini salutò a sua volta sfiorandosi la falda del cappello.

«Ci penserò, brigadiere Rapetti. Perché vi hanno promosso, dopo questa storia, nevvero?».

Nata a Siracusa il 18 settembre 1973, Maria Lucia Riccioli insegna Lettere negli Istituti d’istruzione secondaria superiore ed è stata docente di Lingua italiana e scrittura creativa nell’ambito del corso propedeutico al Seminario arcivescovile di Siracusa.

Semifinalista al II Campionato nazionale della lingua italiana su TMC, ha partecipato a varie rassegne e concorsi ottenendo prestigiosi riconoscimenti. Alcuni dei suoi lavori sono stati pubblicati su quotidiani, riviste ed antologie. Ha frequentato i corsi di scrittura creativa tenuti da Silvana La Spina e Claudio Fava e attualmente studia teorie e tecniche della narrazione con Luigi La Rosa.

Scrive articoli culturali e intervista autori sul periodico La voce dell’isola, oltre a curare il blog www.marialuciariccioli.splinder.com. Ha scritto il suo primo romanzo.