Chi segue dalla prima ora – anzi, dal primo minuto – l’attività registica di Woody Allen sa che la cadenza annuale dei suoi film  è un’onda che può cambiare repentinamente, seguendo una corrente sottomarina, ma in cui ogni goccia porta in sé l’essenza intera dell’oceano. Non sempre le strade imboccate dal Woody-sceneggiatore sono state apprezzate dai fan (anche quelli più incalliti, come chi scrive), non sempre si è condivisa una scelta stilistica o i messaggi veicolati. Non si deve però disperare di fronte alla bassa marea, perché le onde torneranno prima o poi.

Midnight in Paris è una felice operazione di smantellamento di molti temi alleniani: una messa a nudo del regista di fronte agli spettatori, come a dire che era ora di rinunciare ad alcuni capisaldi senza per questo rinnegarli. Il tutto con il classico stile sognato e “paranormale” che ha contraddistinto grandi successi del passato, da La rosa purpurea del Cairo a Ombre e nebbia (giusto per citarne alcuni, ma l’elenco sarebbe molto più lungo).

Gil, il protagonista, è un Woody fatto e finito anche se più giovane, secondo il curioso vezzo del regista di chiamare attori diversi ad interpretare ruoli palesemente scritti per Allen stesso. Così abbiamo un Owen Wilson in splendida forma che dimostra di essere un attore completo, non un caratterista: malgrado stia meglio con cinturone e cappello da cowboy, l’attore risulta lo stesso credibile vestito “alla Woody” con tanto di balbettamenti e immancabili camicie a quadretti.

Gil sogna di vivere in un attico sui tetti della Parigi anni Venti, in pieno stile bohémien («Manca solo la tubercolosi», lo prenderà in giro un personaggio), esattamente come Woody ci ha fatto sapere da tanti film nel passato. Ma al contrario dell’amore totale che il regista ha dimostrato verso questa città, qui ci troviamo di fronte ad una confutazione: Parigi è una città di sogno, ma poi bisogna svegliarsi.

Gil lavora come sceneggiatore – professione di molti personaggi alleniani – ma sogna di vivere nella Golden Age, in quell’âge d’or idealizzata dove circoli di intellettuali davano vita ad un flusso inarrestabile di creatività destinata a fama imperitura. Gil vorrebbe vivere in quest’Arcadia da sogno... e in una mezzanotte parigina il suo sogno verrà esaudito.

Come molti altri personaggi alleniani, sarà un’esperienza onirica e fantastica e far comprendere la realtà al protagonista: sarà la magia a lenire le ferite della vita, perché solo attraverso la menzogna possiamo arrivare alla verità.

In una notte magica, Gil si ritrova d’un tratto catapultato in una di quelle tanto amate riunioni di intellettuali tanto idealizzati: senza sapere il come, il protagonista si ritrova in un locale dove suona Cole Porter e dove Francis Scott Fitzgerald (Tom Hiddleston) e la sua Zelda (Alison Pill) gli presentano Ernest Hemingway (Corey Stoll). La sorpresa è spiazzante ed è solo l’inizio.

Mentre la sua vita reale assume toni squallidi di partecipazioni di matrimonio, rapporti con suoceri odiosi ed amici fastidiosi (nella fattispecie un pomposo saccente interpretato alla perfezione dal bravissimo Michael Sheen), le notti si fanno sempre più magiche.

Come ogni buon personaggio alleniano, Gil sta scrivendo un libro: non ne conosciamo il titolo ma si capisce che parla della sua vita e dei suoi sogni “nostalgici”. Parlare con i più grandi scrittori di lingua inglese potrebbe essere “ispirante”, ma in realtà è solamente imbarazzante: come proporre un proprio testo ad Hemingway? C’è il rischio di prendere qualche pugno!

Con una scelta di casting da applauso, Allen mette in scena il gotha artistico di inizio Novecento come mai s’è visto al cinema (o altrove).

Da Gertrude Stein (Kathy Bates) a Pablo Picasso (Marcial Di Fonzo Bo); da uno spumeggiante Salvador Dalí (interpretato da un geniale Adrien Brody), in compagnia di Man Ray (Tom Cordier) e Luis Buñuel (Adrien de Van), ad Henri Matisse (Yves-Antoine Spoto), Paul Gauguin (Olivier Rabourdin) ed Edgar Degas (François Rostain).

Dopo questa overdose di arte, Gil dovrebbe essere al settimo cielo ed ispirato come non mai. Invece così non è, perché scopre che la nostalgia non ha età...

«La nostalgia è negazione: la negazione di un presente infelice. - ci informa uno dei personaggi. - E il nome di questo falso pensiero è Sindrome Epoca d’Oro (Golden Age Thinking), cioè l’idea errata che un diverso periodo storico sia migliore di quello in cui viviamo. È un difetto dell’immaginario romantico di quelle persone che trovano difficile cavarsela nel presente.» Woody non è mai stato d’accordo con questo concetto, ma con Midnight in Paris pare voglia aprire gli occhi e sfatare questo suo antico mito personale.

Una commedia dolce-amara che non punta tanto sulle battute – poche ma ottime – quanto sulle atmosfere e lo sbigottimento, su quello stupor mundi che scalda il cuore.

Chi conosce la produzione del regista troverà mille e mille riferimenti a film, personaggi e tematiche già affrontate, mille strizzate d’occhio che costituiscono la firma inconfondibile di Allen.

Non resta che sperare che il prossimo cambiamento stilistico sia altrettanto ispirato.