- Di quale carta stai parlando? - chiede la Negro, stranita.

De Luca scatta in piedi. La sedia si rovescia.

- Ve lo dico strada facendo. Adesso dobbiamo muoverci.

- Per andare dove? - fa Coliandro. Ma nessuno gli bada. Stanno tutti schizzando via, dietro al commissario.

- Minchia... - geme Coliandro. Si alza anche lui, a malincuore, e corre fuori dalla stanza.

All'ingresso, Grazia chiede ad alta voce se devono prendere una delle macchine. De Luca risponde che non è necessario. "Meglio così", pensa uno degli agenti che funge abitualmente da autista. L'ultima volta che ha accompagnato il commissario De Luca, la Negro si è presa la macchina, e lui è dovuto rientrare in taxi.

Coliandro raggiunge gli altri fuori dalla Questura. Affianca De Luca.

- Allora, si può sapere dove stiamo andando?

- A mangiare - risponde l'altro, senza voltarsi. - Non avevi detto che hai fame?

- Sì, ma...

- Niente kebab, però. Vi porto io. Conosco un posto qui vicino che merita.

Coliandro rallenta il passo. Si lascia raggiungere da Grazia.

- Che mi dici? A me sembra che stia dando di nuovo i numeri.

- Guarda che ti sento, Coliandro - dice De Luca, senza rallentare. Imbocca una stradina laterale, con gli altri a rimorchio. Finalmente si ferma davanti a un ristorante-pizzeria.

- Qui mangeremo benissimo. Venite.

Quando sono tutti seduti al tavolo, in attesa di essere serviti, la Negro torna alla carica con De Luca.

- Allora, ti decidi a dirci cosa hai scoperto?

- Niente -risponde lui. Non ho scoperto niente.

- E allora perché ci hai fatto correre via così?

- Perché ho avuto la sensazione che ci stessero spiando. Ecco perché.

- Impossibile - sbuffa Coliandro. - Ho controllato io stesso.

Il commissario annuisce.

- Appunto.

- Senti un po' - comincia l'altro, in tono bellicoso. Ma in quel momento arriva la cameriera con un vassoio di affettati, bruschette, e formaggi misti. Coliandro allunga le mani e comincia a mangiare, dimentico di quel che stava dicendo. Gli altri lo imitano, per evitare che si sbafi tutto da solo. Dopo qualche minuto di silenzio, la conversazione ricomincia.

- Si vede che mi serviva solo un po' di carburante - dice Grazia, - perché adesso mi sento molto più lucida.

- Allora illuminaci - la invita Gargiulo.

- Va bene. Proviamo a riassumere. Abbiamo uno scrittore, che forse è stato avvelenato e forse no. Il medico legale schiatta subito dopo. Di nuovo, non sappiamo se è stato ammazzato, o se invece è deceduto per cause naturali. Però, guarda caso, alla sua fa seguito anche la morte del suo assistente, a quanto pare per soffocamento. Mi seguite?

Gargiulo annuisce.

- Qui non c'è niente di casuale - riprende lei. - Arrivati al terzo, direi che abbiamo a che fare con un killer.

- È vero - interviene De Luca. - I cadaveri si stanno accumulando. Chiunque sia l'assassino, sembra che stia perdendo il controllo.

- Non è solo per il numero. Se ci fai caso, all'inizio ha cercato di far passare le uccisioni come morti naturali. Adesso, invece, sembra non curarsene più di tanto. Prendi quel Gelsomino, ad esempio...

- Cosa vuoi dire?

- Intendo dire che avrebbe avuto la possibilità di farlo passare, che so, per un caso di auto-soffocamento erotico. Bastava usare un sacchetto di plastica e poi denudare il cadavere.

- Come fai a sapere che è stato soffocato con un sacchetto di plastica? - chiede Coliandro.

- Guarda che stavo solo descrivendo un possibile modus operandi. D'altra parte, dal momento che Gelsomino è stato soffocato, e non strangolato, l'ipotesi del sacchetto di plastica ha una sua plausibilità.

- D'accordo. E allora?

- Non lo so. Ma c'è un indizio importante che abbiamo trascurato.

- Quale? - chiede De Luca.

- La porta.

- Quale porta?

- La porta dell'appartamento di Lucarelli. Non c'erano segni di effrazione. Ricordate?

- Minchia, è vero! - esclama Coliandro. - E questo significa che lo scrittore conosceva il suo assassino, e gli ha aperto.

- E con questo? - il tono di De Luca è scettico. - Vai a beccare chi è stato, con tutti quelli che conosceva... Dovremmo scoprire qual è il movente.

- Il movente non c'è - dice Gargiulo, quasi tra sé.

- Cosa hai detto? - salta su il commissario.

- Eh? Niente. Dicevo che qui non sembra esserci alcun movente.

De Luca dà una manata sul tavolo, facendo tremare i piatti.

- Sì, è questa la chiave di tutto. L'apparente mancanza di movente.

- Che intendi dire? - chiede Grazia.

- Pensateci un attimo. Qual è la cosa più strana di tutte, in questa faccenda?

Nessuno risponde.

- Ve lo dico io. Si tratta della questione del veleno.

Coliandro fa la faccia di quello che non capisce, cosa che gli riesce sempre piuttosto bene.

- Cioè?

- Voglio dire, c'è uno che sembra morto per cause naturali, ma che invece è stato probabilmente ammazzato con un veleno difficile da trovare, cosa che veniamo a sapere dal Capo, che dice di aver avuto l'imbeccata attraverso una telefonata anonima. Il medico legale muore, forse ammazzato anche lui. Il suo referto confermerebbe che Lucarelli non è stato assassinato, ma forse il referto è falsificato, magari dal suo assistente, che a sua volta muore soffocato.

- E allora?

- Se il referto è falsificato, e dunque il veleno c'era, rimane un grosso interrogativo. Visto che solo l'assassino poteva sapere del veleno, perché si è preso la briga di usarne uno difficile da individuare, e poi ha telefonato per avvertire la polizia che Lucarelli era stato avvelenato?

Coliandro scuote la testa.

- Minchia, che casino. Però è vero. Qui c'è qualcosa che non torna. Sembra quasi...

In quel mentre arrivano le pizze, e tutti cominciano a mangiare. Dopo un po', Gargiulo si rivolge a Coliandro.

- Che stavi dicendo, prima?

- Niente. Forse l'assassino aveva un complice che si è pentito. Oppure...

- Oppure?...

- Oppure la falsificazione del referto aveva un motivo diverso, e quel Gelsomino ha capito male il dettaglio del veleno. Non era per quello, che il referto doveva essere riscritto di sana pianta.

- Sì - dice De Luca, - stavo pensando a qualcosa del genere. L'assassino voleva che la questione del veleno venisse fuori. Quel genietto dell'assistente potrebbe averci messo del suo. L'assassino gli ha chiesto di riscrivere il referto, e lui ha pensato che, già che c'era, poteva modificare anche la causa della morte. Una deduzione errata.

- Ma, se il motivo non era quello - interviene Grazia, - perché il referto doveva essere riscritto?

- L'unica cosa che mi viene in mente - dice Coliandro, - è che dal referto venisse fuori qualcosa che l'assassino non voleva che si sapesse, riguardo al morto.

- Vale a dire?

Gargiulo bofonchia qualcosa. Tutti si voltano verso di lui.

- Che minchia hai detto? - chiede Coliandro.

- Niente. Una cazzata - si schermisce l'agente.

- Tirala fuori - lo esorta Grazia. - Hai mai sentito parlare di brainstorming?

- No. Che significa?

- Che qualche volta anche le cazzate possono risultare utili. Parla.

- Va bene. Avevo pensato che forse nel referto c'era scritto che il morto non era Lucarelli.

- E come ti è venuto in mente?

- No, è solo che l'altra settimana ho visto una puntata di C.S.I. dove si parlava di uno scambio di cadavere, e così...

- Un' idea bizzarra - commenta De Luca, - però...

Il telefono di Grazia squilla. Lei se lo porta all'orecchio, ascolta per alcuni secondi, facendo una strana faccia, poi chiude la conversazione. Sembra scioccata.

- Che cosa succede, adesso? - chiede Coliandro.

- Il Capo... è stato trovato morto.

- Minchia! - esclama Coliandro, sbigottito.

- Ma come... dove... - balbetta De Luca.

- Hanno sentito uno sparo provenire da un edificio situato di fronte alla Questura. Sono corsi a vedere, e lo hanno trovato morto, con una pallottola nella tempia. La sua pistola era per terra, vicino a lui.

- Sembrerebbe un suicidio - borbotta il commissario, riprendendo il suo sangue freddo.

- Non so. Nel locale c'era una vera e propria stazione di ascolto per le intercettazioni. Forse il Capo ha beccato quello che ci spiava.

Si precipitano tutti fuori. Coliandro, che è scattato in piedi con un attimo di ritardo, viene però bloccato dal padrone del ristorante.

- Che c'è? Non vede che abbiamo fretta?

- Come no. Ma ci sarebbe il conto da pagare, ispettore.

- Si, è vero. Ma adesso vado di corsa. Mandi la fattura al commissario De Luca.

- Niente conti in sospeso con la giustizia - replica l'altro, sarcastico. - Fanno 140 euro. Per l'esattezza sarebbero 142, ma le faccio lo sconto.

- Tante grazie - borbotta Coliandro.

Tira fuori il contante, paga e poi si lancia all'inseguimento degli altri.

Notte fonda. Piazza Maggiore è deserta. O meglio, sarebbe deserta, se non fosse per un gruppetto di persone che se ne stanno davanti all'ultimo Caffè aperto. Sono appena uscite, perché anche quello, ormai, sta per chiudere. Il padrone le ha appena buttate fuori.

- Che facciamo, andiamo a casa? - chiede Gargiulo. Ha l'aria spossata.

- Animo, Gargiulo - esorta Coliandro. - La notte è ancora giovane.

- Sì, ma io ho il primo turno di servizio, domani.

- Tranquillo - dice De Luca. - Ci penso io a fartelo cambiare.

- Non riesco ancora a capacitarmi - mormora Grazia. - Questo caso è diventato un vero incubo. Anche il Capo è stato ammazzato!

- A chi lo dite, ispettrice - interviene Ricchiuti. - Pensate che io...

- Ispettore - dice la Negro, con voce stanca.

- Cosa?

- Ispettore, maresciallo! Mi chiami ispettore, non ispettrice.

- Come volete, ispettr... ispettore. Dicevo che io ero al telefono con lui, quando gli hanno sparato. Ho sentito il colpo dritto nell'orecchio, come se avessero sparato a me.

Il rumore sembra aver sortito l'imprevedibile effetto di bloccare il tic del suo occhio sinistro. Oppure il tic si placa da sé, quando la luce è scarsa.

- Sì, maresciallo, lo sappiamo - dice De Luca. - Ce lo ha già raccontato decine di volte. Adesso forse è meglio se andiamo a dormire, come ha suggerito l'agente Gargiulo. Secondo me...

S'interrompe, perché il suo cellulare sta squillando.

- Pronto. Ah, sì. Che fai ancora sveglia, a quest'ora? A casa tua? Adesso? Senti, senti. Va bene, arrivo.

- Chi era? - chiede Grazia.

- Quella giornalista di Telecentro. Pare che abbia rivelazioni sconvolgenti sulla morte di Lucarelli.

- Un trucco per farti andare a casa sua - insinua Coliandro. - Cercherà di carpirle a te, le informazioni.

- Può darsi. Ma è meglio se vado a sentire che cosa ha da dirmi.

- Tutto tempo perso - insiste Coliandro. - Ma, se hai deciso di andare, allora vengo con te.

- Vengo anch'io - dice la Negro.

- Seguitemi, ho la macchina di servizio - si accoda Gargiulo, a cui è passato d'improvviso il sonno.

Partono sgommando, seguiti a ruota dal maresciallo Ricchiuti. Non penseranno mica di tagliarlo fuori, quei minchioni di poliziotti. Con rispetto parlando, s'intende.

De Luca suona il campanello. Laura viene ad aprire la porta. Spalanca gli occhi, nel vedere tutta quella gente.

- Già che c'ero, ho portato un paio di colleghi - dice il commissario, minimizzando.

La giornalista non dice niente. Si fa da parte e lascia entrare quella piccola folla, per poi condurla in salotto. Quando tutti si sono accomodati, De Luca si rivolge alla cronista.

- Dunque, cosa avevi di tanto urgente da dirmi?

- Non io - precisa la ragazza.

- Che ti dicevo? - interviene Coliandro. - Le vuole da noi, le informazioni.

Lei lo fulmina con un'occhiata.

- Non ho bisogno delle tue informazioni, agente. Le ho già avute di prima mano.

Grazia le rivolge uno sguardo stupito.

- Di prima mano? E da chi?

- Da un ospite speciale. Lo vado a chiamare.

La ragazza si allontana dalla stanza. Quando ritorna, è accompagnata da una persona che tutti i presenti conoscono bene. La sua presenza li lascia a bocca aperta.

- Buongiorno, signori - saluta Carlo Lucarelli. - Anzi, buonanotte.

È passata una buona mezz'ora. Lucarelli ha avuto il suo bel daffare, per riportare la calma, dopo il caos suscitato dalla sua improvvisa apparizione. Alla fine, De Luca ha imposto a tutti di fare silenzio.

- Cerchiamo di capirci qualcosa, di tutta questa storia. Procediamo per ordine. Ci hai detto che è stato il Capo ad assassinarti?

- Non me, il mio sosia.

- Io lo avevo detto subito che il Capo c'era dentro fino al collo - dice Coliandro.

De Luca gli fa segno di stare zitto e torna a rivolgersi a Lucarelli.

- Come si sarebbero svolti i fatti, esattamente?

- Ve l'ho già raccontato, ma lo ripeterò. Del resto, lo so bene che con la polizia le cose bisogna ripeterle più d'una volta. Quella sera Roberto mi ha telefonato, per chiedere se poteva venire a cena da me con un amico. Gli ho chiesto chi fosse questo amico, e lui ha risposto che era una sorpresa. "Ti lascerà senza fiato", promise. Gli dissi che non avevo niente di pronto, ma lui replicò che bastava che facessi scaldare qualche confezione di Quattro salti in padella. Sapeva che ne sono sempre provvisto.

- Vai avanti.

- Quando Roberto arrivò rimasi di stucco, in effetti. Con lui c'era un tipo che mi somigliava in maniera impressionante, ed era pure vestito come me. Roberto mi spiegò che si trattava di un mio ammiratore, che lui aveva incontrato per caso. Colpito dalla rassomiglianza, aveva pensato di portarmelo a casa. Per farla breve, Roberto mi diede una mano a preparare tre porzioni di lasagne, una a testa. Io ne avrei mangiate anche di più, ma erano le ultime rimaste. Dopo cena, il mio sosia mi chiese se poteva sedersi alla scrivania. Roberto si mise a sparecchiare, ed io andai in cucina, a lavare i piatti. Mi mancava il terzo, quello dell'ospite. Allora chiesi a Roberto se poteva portarmi anche quello. Lui venne in cucina e mi disse che quello era meglio non lavarlo.

- Era il piatto col veleno - nota Grazia.

- Infatti. Quando disse che aveva avvelenato la porzione del mio sosia, non volevo crederci. Ma intanto a me stava venendo sonno. Roberto aveva messo del sonnifero nel mio piatto. Fui trascinato fuori da Roberto, che mi fece salire sulla sua macchina e guidò fino a casa sua, dove crollai su un divano, intontito. Da quanto ho capito, deve avermi tenuto sedato per tutto questo tempo. Finalmente oggi ho recuperato un po' di lucidità. Una volta sveglio, ho visto che lui non c'era. Però aveva lasciato un biglietto, dicendomi dove potevo trovarlo, e chiedendomi di raggiungerlo al più presto.

- Come faceva a sapere che non saresti andato subito alla polizia? - domanda De Luca.

- Era scontato che non lo avrei fatto, prima di capire per quale motivo si fosse comportato in una maniera così assurda. Non potevo far altro che andare da lui, per parlargli. Quando sono arrivato, l'ho trovato che vi stava spiando, per mezzo di una cimice che aveva piazzato nella stanza che voi usate sempre per riunirvi.

- Ti ha spiegato perché avesse fatto fuori il tuo sosia in quel modo? - chiede il commissario.

Lucarelli annuisce.

- Sì, me l'ha spiegato.

- Racconta.

- No.

- Come sarebbe! - protesta Coliandro, alzandosi quasi in piedi.

Lucarelli lo guarda. La faccia ha la stessa espressione di quando racconta uno dei suoi famosi casi in televisione. Sembra che si stia preparando a un piccolo colpo di scena.

- Farò di meglio. Ve lo farò raccontare da lui stesso.

Infila la mano in una tasca, e ne tira fuori un piccolo registratore. Lo accende.

- Ascoltate. La prima voce è la mia, l'altra è di Alfano.

Dopo un momento, dall'apparecchio viene fuori la voce di Lucarelli.

- Non avresti dovuto far fuori quel ragazzo, Gelsomino.

- Sapeva troppo. E poi aveva alzato il prezzo.

- Alzato il prezzo... Ti riferisci al fatto che ha eliminato il medico legale, per poter alterare i risultati dell'autopsia, in modo che non venisse fuori che il morto non ero io?

- Sì certo, ha fatto un bel lavoro. Però sai come funziona... Se gli dai un dito si prendono il braccio, questi ricattatori da due soldi. Non mi andava l'idea che uno come quello mi tenesse per le palle.

- Ma perché hai ammazzato quel poveraccio del mio sosia?

- Carlo, Carlo, come sei duro... Io ti ho solo voluto aiutare, caro mio. Tu avevi un problema, e un'idea per risolverlo. Io ti ho solo aiutato a realizzarla. Sei venuto tu a dirmi che eri stanco di dover fare un milione di cose per campare. Che non ne volevi più sapere di quelle tristissime presentazioni di libri davanti a quattro gatti, di dover scrivere migliaia di pagine all'anno.

- Mi stai dicendo che hai preso alla lettera quella mia idea, quando ti ho detto che, se fossi morto, i miei libri sarebbero andati a ruba? Ma pensi che avrei accettato di sacrificare un innocente, solo per diventare popolare?

- Carlo, Carlo, non fare il modesto. In fondo eri abbastanza conosciuto, con tutta quella tv che hai fatto. Ma ora sarai famosissimo. Da giorni non si parla che di questo misterioso omicidio. E adesso che usciranno anche le notizie sulla morte del medico legale e del ragazzo... Beh... Se ne parlerà per mesi. Posso già vedere il plastico del tuo appartamento nello studio di Bruno Vespa. Sei a posto. Per sempre.

- Tu sei pazzo. Pensi che rinuncerò a denunciarti per riconoscenza? Mi conosci troppo bene, per crederlo. E quindi, come pensi di evitare la galera? Non dirmi che... cazzo, ma che vuoi fare con quella pistola, non hai mica intenzione di suicidarti, per caso? È così? Ammazzare me non avrebbe senso.

- Te l'ho già detto, Carlo. Sono vecchio. Annoiato. Ho fatto la carriera che volevo. Ho soldi abbastanza per morire in pace. Ho scopato tutte le donne che avrei potuto, l'ultima stamattina. Ha cinquant'anni meno di me, ad occhio. Cosa posso volere? Divertirmi... un'ultima volta.

- Giocando a fare Dio?

- Questa storia avrebbe potuto diventare un bellissimo libro!

- Quello era compito mio. Ma tu hai fatto ben di più, hai fatto diventare tutto reale.

- Mi sono divertito.

- Ti ho già detto che sei pazzo? E hai fatto ammattire anche i tuoi uomini.

- Sembrano persi, poveracci. Se non gli serviamo su un piatto d'argento un assassino, io non ci faccio una gran figura.

- Ma... Come fai ad essere così tranquillo?

- Stai calmo. Mi sto divertendo troppo...

Si sente lo squillo di un cellulare.

- Pronto? Ah, Ricchiuti...

Segue il rumore di un colpo di pistola. Poi più nulla.

- Mi ero avvicinato per cercare di disarmarlo - spiega Lucarelli, - approfittando del fatto che lui stava rispondendo alla chiamata. Ma mi ha preceduto.

Per un po' nessuno parla. Alla fine, De Luca rompe il silenzio.

- Buona l'idea del registratore. Dove lo hai trovato?

- Ce l'ho sempre dietro. È uno dei miei strumenti di lavoro. Dopo che Roberto si è sparato, sono corso via. Ero sconvolto, come potete immaginare. Non potevo andare a casa mia, perché è ancora sotto sequestro. Allora ho telefonato a Laura, e le ho chiesto se potevo rifugiarmi da lei, per qualche ora.

- Mi ha fatto quasi venire un colpo - conferma lei. - Ma, come potete immaginare, sono stata più che felice di accoglierlo. Ragazzi, sarà lo scoop del secolo!

Lucarelli le rivolge uno sguardo indulgente, vagamente ironico.

- Vi lascio il registratore, ragazzi. Tanto io mi sono già fatto una copia, usando l'apparecchiatura professionale di Laura. Mi serve come documentazione, perché tutto questo diventerà un romanzo, come potete immaginare...

Lucarelli è di nuovo a casa. La polizia ha tolto i sigilli, dopo un ultimo sopralluogo. Lo scrittore è ancora incredulo. L'idea di usare il registratore si è rivelata la mossa vincente. La provvidenziale telefonata di Ricchiuti gli ha poi offerto l'opportunità di avvicinarsi all'amico impazzito, e di piantargli una pallottola nel cervello. Il resto non è stato difficile. Manipolando abilmente le tracce audio, grazie alle apparecchiature di Laura, ha ricucito insieme alcune frasi di Roberto, inserendovi altre frasi dette da lui, in modo da creare un dialogo assolutamente convincente... Insomma, è fatta. Adesso non deve fare altro che attendere i risultati della vendita dei suoi libri, per non parlare di quello che scriverà, per raccontare quell'ultima, sconvolgente vicenda. Non c'è che dire, questa volta ha superato se stesso. Ha inventato una storia pazzesca, ma più credibile della realtà. È talmente credibile, questa storia, che quasi quasi ci crede anche lui...