Tra Borges e Pirandello, ci fanno sapere dalla casa editrice. Personalmente, vedo questo romanzo sotto una luce più pop e mainstream: quasi scritto da un Andrea Vitali trapiantato nella Trinacria centrale.

Le parole chiave sono “Sud e magia”, come il celeberrimo saggio di Ernesto De Martino. Maharie – magie, fatture, incantesimi – che dal ’36 si protraggono fino a oggi. Amore, passione, mistero, tempo, famiglia e territorio raccontati con una prosa pulita, attenta, circolare e abbondante: tutti gli elementi giusti per imbastire un buon romanzo popolare.

Ma i sapori che Domenico Seminerio serve al lettore sono troppo netti: la Sicilia ha un gusto sospettosamente squisito e l’elemento fantastico crea poche sfumature, rimanendo sullo sfondo. Due chiari esempi di vie percorribili per dare più profondità al disegno complessivo dell’autore. Resta la provincia italliana, quella che dal racconto orale finisce sulla carta, come in Vitali, appunto.

Il volo di Fifina è un bel quadro, gradevole. Ti ci avvicini, lo osservi per bene e da tutti gli angoli, poi però cerchi ombre, sfumature, dettagli e non ne trovi abbastanza; negli occhi rimane l’impressione di un’occasione persa, non dico di trovarsi di fronte al capolavoro, ma davanti a qualcosa di più di un bel quadro.