Torna in libreria un vecchio e caro amico: l’ispettore Arkady Renko della polizia di Mosca. Il personaggio nato dalla penna dello statunitense Martin Cruz Smith arriva alla sua sesta avventura, forse un po’ ammaccatto ma intatto nello spirito.

Sono passati quasi trent’anni dalla prima volta che l’abbiamo incontrato, ad indagare su uno strano omicidio avvenuto a Gorky Park: il successo di quel romanzo fu tale che - unico caso nella storia del nostro Arkaša - ne venne tratto un celebre film. Da allora molti fan (compreso chi scrive) hanno sempre identificato il brillante ispettore moscovita con le sembianze del giovane attore William Hurt: produttori distratti hanno lasciato orfano Gorky Park (1983) di Michel Apted, ma Renko ha continuato la sua missione di disincantato - seppur sognante - testimone del destino di una grande potenza mondiale.

Chi ha seguito il buon Arkašenka nel Mar di Bering, a Cuba, a Černobyl’, chi l’ha visto - letto! - alle prese con la mafia cecena, con biechi speculatori, con falsi comunisti e falsi capitalisti, si stupirà di vederlo coinvolto in una “normale” avventura cittadina. Eppure Le tre stazioni è davvero una discesa gli Inferi.

Il nome del romanzo deriva dall’omonimo snodo ferroviario di Mosca che vede incrociarsi tre linee ferroviarie più varie corse regionali. L’enorme flusso di gente che giorno e notte calpesta i suoi marciapiedi, l’umanità varia e soprattutto la varia teppa che lo infesta, rendono il luogo la perfetta ambientazione per un sordido thriller. Chi frequenta grandi stazioni sa che sono un universo a parte, una realtà parallela che nulla ha a che spartire con quella delle strade a pochi metri di distanza: in questo ambiente che è talmente vero da sembrare la location di un film apolaticco si svolge gran parte del romanzo.

Due storie si snodano separate per tutto il libro, due rette parallele che - ci dice la geometria poetica - non si incontreranno mai se non in un “punto improprio”.

Maya è una quindicenne rimasta incastrata negli ingranaggi della “Russia di oggi” - qualsiasi cosa quest’espressione voglia dire. Il suo passato torbido, che cerca in tutti i modi di non rievocare, l’hanno spinta ad arrivare alle Tre Stazioni con un bambino in braccio: il suo bambino. La giovane mamma non ha però fatto i conti con le forme di vita che infestano il luogo, e non passerà molto tempo che dovrà tenacemente mettersi alla caccia di chi ha rapito la sua creatura.

Arkady Renko è in un momento “normale” della sua vita: il suo capo lo disprezza e vuole licenziarlo; altra gente lo disprezza ma cerca il suo aiuto; un figlio adottivo lo disprezza ma avrebbe bisogno del suo aiuto; un collega lo stima ma è sempre troppo alcolizzato per ricordarsene; un vecchio amico lo stima, lo aiuta, e se ne dovrà pentire. Insomma, pura quotidianità per il poliziotto moscovita! Entra per caso nelle indagini-non-indagini su una ragazza uccisa in circostanze chiare ma misteriose: chi mai vuole indagare su una baby-prostituta uccisa in un angolo buio delle Tre Stazioni? Ne muoiono tante così... Le indagini quindi non iniziano, ma il nostro Arkaša ha capito che è tutta una messinscena e comincia a scavare - dove non dovrebbe - per capire cosa stia succedendo.

Il “punto improprio” delle due storie parallele è il giovane Zhenya, figlio adottivo di Renko che servirà da collante. Negli ultimi romanzi la vita privata di Renko non sembra avere speranze di lunga durata e lo sfortunato ispettore sembra votato ad una vita di solitudine. Riuscirà questo suo figlio adottivo a durare?

Martin Cruz Smith da anni ci guida per mano attraverso le evoluzioni di un Paese che cambia ogni giorno. Se si pensa a Gorky Park e poi a Le Tre Stazioni non sembra si stia parlando dello stesso Paese. Il mondo è un po’ cambiato: la Russia è cambiata tanto. E non sempre in meglio. L’Homo sovieticus di Cruz Smith è sempre ritratto con grande affetto ma con spietato realismo: è la descrizione di un amico sbandato a cui però vogliamo un mondo di bene.

Un elemento per tutti è la vodka, vera bandiera russa. Victor, il collega di Arkady, fa notare che una volta la vodka si comprava in tre - perché troppo costosa per uno solo - e questo permetteva di farsi sempre nuovi amici. Le droghe pesanti sono un vizio che si consuma in solitaria: non fa per i russi, ma ormai si sono occidentalizzati abbastanza per esserne schiavi. È questa la “nuova” Russia?

Da anni Cruz Smith ci fa capire che la vita quotidiana non ha etichette, che non esistono “nuovi” o “vecchi” russi: esiste l’Homo sovieticus e basta.

Un romanzo all’apparenza meno “avventuroso” di altri ma che colpisce davvero nel profondo. Uno spaccato della Russia moderna, con il suo cuore forse un po’ sporco ma mai spento.