Televisione accesa, un bamboccione che la guarda mentre una donna seduta sul divano accanto lui pare dormire. Solo che la donna, la madre del bamboccione, è appena morta, ammazzata da un overdose di eroina.

Inizia così, secco e crudo questo Animal Kingdom di David Michôd, suppergiù dall’Australia con dolore, dovuto al fatto che ci sono criminali da una parte e una legge dall’altra, e dove i primi vorrebbero arrivare la seconda, zacchete, mette i paletti.

Ma non è il sociale ad essere in primo piano. Ad esserlo sono le dinamiche famigliari, fratelli, madri (una morta, una viva), cugini bamboccioni acquisiti per causa di forza maggiori (vedi sopra). Quando i duri cominciano a giocare e a morire e il gorgo inizia a risucchiare tutto e tutti, il bamboccione (con affetto…) si trova nel classico gioco più grande di lui (il che non gli impedirà il beau geste finale…)

Il film funziona meglio quando la vicenda è osservata attraverso lo sguardo attonito del bamboccione (James Frecheville), meno quando l’azione gli scorre lontano.

Forse non la rivelazione che si dice in giro, però neanche da scansare per partito preso e con almeno una scena che lascia basiti.