Remo Bassini, l’ultimo nome che va ad arricchire il già prezioso patrimonio di autori italiani pubblicato da Perdisa Pop. Giornalista, direttore del bisettimanale di Vercelli, La Sesia, autore di Bastardo posto, in questo romanzo sembra guardarsi allo specchio.

Pare quasi che tu voglia prendere sottobraccio le contraddizioni imposte del tuo ruolo di professionista dell’informazione per metterle alla berlina. Come matura questa scelta?

E' un po' come il libro questa domanda: è bastarda pure lei, ma va bene, e faccio una fatica bestia a risponderti. Allora, punto primo, io sono un giornalista che quando può dice d'essere un giornalista libero, al servizio dei lettori e della verità. Io però, - punto secondo - sono anche uno scrittore e lo scrittore, in pratica, dice al giornalista: Tu non la conti giusta perché l'informazione non è mai completa, perché l'informazione spesso è monca, perché l'informazione a volte è assente o, peggio, impotente. Che l'informazione sia spesso servile lo do per scontato. Insomma, lo scrittore mette in crisi il giornalista. Che poi: io mi sento molto più scrittore che giornalista e quindi il giochetto tra me e me è stato facile.

Bastardo posto prende di mira la provincia. In questo caso una provincia del nord che troppo spesso viene indicata come esente dalla capacità di produrre drammi. A differenza di quelle del sud. Solo una delle tante falsità del mondo della politica, o un fattore di prepotenza culturale?

Che il crimine organizzato sia arrivato in città come Milano, Firenze, Reggio Emilia è un dato di fatto. Culturalmente la buona borghesia del nord cerca di rimuovere tutto questo. Faccio un esempio concreto, relativo alla mia città, Vercelli. Negli anni Novanta un procuratore a una mia collega rilasciò un'intervista, che avrebbe dovuto fare scalpore. Sosteneva, quel magistrato, che se Vercelli era una città con pochissima criminalità lo si doveva al fatto che era il centro di smistamento per la droga di Piemonte, Lombardia e Sardegna, e la “tranquillità”, quindi, era voluta dalle stesse organizzazioni malavitose. Bene, a volte ho la sensazione che di quell'articolo mi ricordo solo io (tanto che devo andare e rileggerlo, altrimenti mi viene il sospetto d'essere sulla buona strada della demenza senile).

Decenni fa era la metropoli il tempio delle contraddizioni espresse. Oggi invece questo ruolo viene sposato dalla provincia. Non è che i peccati della metropoli si davano per scontati e quelli della provincia invece ardevano sotto la brace del silenzio e dell’omertà? Cos’è cambiato?

Sono d'accordo, la provincia tende a coprire i suoi peccati e le sue vergogne, a sistemare le cose in famiglia. E un po' di colpa ce l'aveva (e in molti casi ce l'ha ancora) il giornalismo locale, quello servile, quello che non dà voce ai sopraffatti. Tutto questo in Bastardo posto c'è.

L’impressione, vista anche la straordinarietà di eventi criminosi ormai quotidiani, e consumati senza essere legati al crimine organizzato, è che l’Italia rappresenti un immenso puzzle i cui tasselli siano tanti Bastardi posti. Che opportunità può offrire la narrativa per svelare i misteri e le relazioni che si nascondono dietro i protagonisti di questi fatti?

La narrativa può arrivare dove non arriva la cronaca, basti pensare a Sciascia. Il giornalismo parte dai fatti, la narrativa li mistifica, invece. Ma se lo fa a imitazione del vero la gente capisce: capisce che il bastardo posto di cui il giornale non parla è la città, il paese, la regione in cui vive. Ho detto la gente. Mi correggo: qualcuno capisce.

In una tua recente presentazione hai parlato dei calpestabili, a cui in qualche modo sembra dedicato il tuo romanzo. Chi sono? E chi sono stati?

Ghandi diceva che la democrazia è la dittatura del 51 per cento sul 49. Io con questo libro dico che la vita per molti è bella, per moltissimi è così così, per una piccola parte dell'umanità è un inferno. I calpestati sono quelli che vengono lasciati soli a combattere, a volte derisi, uccisi, denigrati.

Microstorie dimenticate, rimosse, sommerse.

Forse parlare del tuo romanzo e classificarlo come giallo, o più genericamente come appartenente alla narrativa di genere, è un po’ riduttivo?

Ho un'amica, si chiama Zena Roncada, ha un bellissimo blog (Colfavoredellenebbie), scrive molto meglio di me e, bontà sua, insieme a Stefania Mola, altra blogger (Squlibri) mi fa il primo editing dei miei manoscritti. Chiesi a Zena: Secondo te è un giallo o un noir? E' più un giallo che un noir, mi rispose, e poi aggiunse: Ma quel che conta è che è l'immagine dell'Italia di oggi. Torno alla definizione di Bastardo posto: a chi mi domanda che libro ho scritto rispondo che si tratta di un romanzo molto anarchico e nero.

Dopo aver letto Bastardo posto, il richiamo alla narrativa di “provincia” francese, maestra in tal senso, è quasi d’obbligo. Ti senti un po’ francese? Un po’ Simenon? O in cosa credi che siano differente il tuo Paolo Limara e il manichino in cui si specchia, dai personaggi francesi?

Io spero tanto d'aver assimilato qualcosa da Simenon ma credo di essere più in debito con Izzo e Manchette e, anche, con il cinema francese, penso per esempio a “L'ultima missione” con Daniel Auteuil per la regia di Olivier Marshall: un film straordinario, senza speranza, con un finale amaro. Il manichino, in ogni caso, è il simbolo dell'impotenza che c'è, oggi, ad affrontare il male e i poteri forti. Ho cercato, insomma, di andare oltre la narrativa di genere e di avvicinarmi, per quanto riguarda il “messaggio” il più possibile a Sciascia, il grande maestro.