L’architettura narrativa e le scelte de Il ragazzo di Bruges causano nel lettore un’eruzione di domande. Innanzitutto perché ambientare un giallo in “location” tanto solari. In altri termini in una Toscana luminosa e fervida d’ arte, di bellezza e la terra delle Fiandre del XV secolo, epoca d'oro della pittura. Ma che razza di giallo è un’opera che non si alimenta di luoghi foschi e notturni, popolati da personaggi ambigui e “socialmente bordeline”? E poi cosa c’è di vero nell’inverosimile trama che coinvolge addirittura Jan Van Eyck, Lorenzo Ghiberti e Donatello in una cospirazione artistica? Che la spiegazione sia celata nell’epilogo, voluto alla fine del romanzo dal suo autore Gilbert Sinoué? E’ facile cadere nel trabocchetto. Esso è abilmente costruito in chiusura di giallo, quando nelle pagine si affaccia un giovane e promettente Antonello da Messina. Ma lo stesso epilogo di un romanzo costruito come una scatola cinese lascia al lettore altri dubbi inquietanti, stavolta proprio attorno ad Antonello da Messina. Una vita, la sua, inzuppata di enigmi, a detta di Sinouè. Una tecnica pittorica troppo innovativa e in anticipo sui tempi per non seminare interrogativi. A questo punto nell’immancabile complicità che lega il lettore allo scrittore c’è una sola scelta da fare: godersi questo giallo senza porsi domande, berlo fino all’ultimo goccio fingendo di credere alla tesi proposta ed avvalorata da autorevoli presenze. Il ragazzo di Bruges è una sorta di Maelstrom cui abbandonarsi per vivere una potente emozione. E’ un gorgo che risucchia con un raffinato meccanismo di suspense, attraverso omicidi compiuti a chilometri di distanza, apparentemente senza un filo conduttore. Il romanzo si sprigiona dalla Firenze del 1441 per approdare nelle Fiandre in un’altalena geografica piuttosto disinvolta. Siamo nel giugno di quell’anno e “Il caldo che regnava sulla Toscana dall’inizio dell’estate si era fatto ancora più afoso”. Nonostante la calura c’è un uomo che lavora alacremente per ultimare la sua opera: è Lorenzo Ghiberti, celeberrimo scultore e pittore. Lo vediamo al lavoro mentre sta ultimando dettagli della seconda porta in bronzo del Battistero di San Giovanni, commissionatagli quaranta anni prima. Siamo nell’anticamera della narrazione, completamente presi dagli sforzi dell’artista, intento ad applicare l’ultima foglia d’oro sul profilo di Caino. Il cambio di scena arriva subito come una frustata: l’omicidio di un giovane messo inviato da Donatello a recare al Ghiberti un invito. Altri due inspiegabili omicidi faranno presto eco a quella daga conficcata nella schiena di un ragazzo a Firenze. Con abilità narrativa fuori dall’ordinario ne veniamo preparati: il primo assassinio è appena un tentativo di omicidio andato a male, visto che il bersaglio era il celebre scultore. Due pagine dopo il lettore è trascinato di peso in un altro luogo. E’ la Bruges di Van Eyke, l’inventore della tecnica ad olio. Casa sua è il baricentro dei suoi esperimenti. Là vediamo il suo garzone armeggiare con olio bollente, fuoco e pigmenti. Del loro puzzo si lamenta Katelina, la fantesca. Un rapporto speciale intercorre tra il giovane e il maturo artista: lui è l’unico ammesso in quella che Van Eyke chiama la sua cattedrale. Del resto è al garzone che il Maestro affida i suoi segreti del mestiere, al quale cita e addita i testi, i fondamenti di quell’arte. “Nella mano dell’artista, perfino uno scalpello deve trasformarsi in pennello, uccello libero”, gli ricorda di frequente Van Eyke, riportando un passo dell’Alberti. Un rapporto filiale tra i due, verrebbe da dire. E lo è più di quanto sospettiamo. La narrazione ci mostra un Van Eyke all’apice del successo: su di lui la benevolenza dei signori di Fiandra. Potere e cultura, stavolta, vanno a braccetto in quelle terre fredde. Ma presto il “re dei pittori” conoscerà l’angoscia. Nello stesso 1441, anno in cui viene commesso il primo omicidio, ad Anversa e Tornai vengono assassinati due suoi giovani apprendisti. Il rituale è lo stesso per entrambi: gola tagliata ed in bocca un impasto. E’ il pigmento chiamato Terra di Verona. Ma lo sconcerto del lettore, già debitamente adescato, giungerà al suo zenit con il tentativo di assassinare lo stesso Van Eyke. Il ragazzo di Bruges è un giallo da cardiopalma, scritto con ironia e raffinata sagacia. Si può abbordarlo solo per affondare lo sguardo nella storia dell’arte oppure per viaggiare nell’Europa delle opere d’arte. In ogni caso è un romanzo che garantisce una potente emozione.